Luciano Giustini ragionamenti a lettere..

La gestione del politico 2.0 (2 – occhio al messaggio)

Obama-Chavez.jpg

Durante la seconda candidatura di Bush Junior, giravano in rete alcune divertenti schermate della ipotetica posta Hotmail dell’ex presidente USA, con i vari messaggi di personaggi famosi, lo staff di collaboratori più o meno amici, di Bin Laden, o di Putin, etc. Anche in questo caso, intorno all’elezione di Obama sono nate molte vignette, come questa (altre, più o meno indovinate, le ho raccolte su posterous, che per inciso trovo sempre più comodo per questo genere di cose).

Nell’iniziare a scrivere la seconda parte di questo post, non posso non citare il breve ma incisivo contributo di Falso Idillio sull’argomento. Il quale affronta un aspetto molto importante della gestione di un’immagine politica su Internet: il fatto cioè che il messaggio, in rete, non può essere inteso solamente come emissione asincrona di un dibattito, ma anzi ne è esso stesso sostanza, e le dinamiche della rete comportano la quasi immediata reazione (e controreazione) in ogni suo aspetto. Giorgio in particolare scrive del principio a “cellule” caratterizzato dalla campagna obamiana, nel quale ognuno ha supportato il progetto e singolarmente gli altri componenti, creando una rete di pari livello che ha nettamente sbaragliato la concorrenza basata sul vecchio concetto di fare politica “dall’alto”.

Se questa impostazione vista nel contesto “2.0” è corretta, si rischia di commettere, a mio avviso, un errore: il problema, infatti, è che non si può prescindere dall’importanza e dal ruolo che il messaggio riveste. La semplice modalità di trasporto arricchisce il profilo contenutistico, ma, seppur perfezionata e condivisa, non ne consente di creare automaticamente anche lo spessore sostanziale, e non è sufficiente a decretarne il successo.

In premessa, il messaggio politico a mio avviso si può scomporre almeno in tre parti:

  • una
    parte razionale, che concorre alla composizione del giudizio di merito
    e di interesse (per i più giovani: avere o mantenere un posto di lavoro;
    interesse dell’ambito professionale; sostegno alle proposte condivise
    insieme al proprio gruppo sociale; progetto culturale; etc.)
  • una
    parte emotiva, richiamata dai sentimenti che derivano dal contesto
    comunicativo-sociale  (per i più idealisti: il richiamo di valori come
    patria, libertà, oppure una specifica ideologia sociale, economica;
    etc.)
  • una parte etica, la quale richiama i valori morali che, più o meno consciamente, si sentono come propri,
    tra i quali sono inclusi ovviamente quelli religiosi (per i più
    anziani: mantenimento delle tradizioni, della cultura di popolo, etc).

La
composizione di questi tre aspetti è più difficile di quel che può
apparire, e paradossalmente lo è ancor di più in rete.

Il messaggio “dal basso” o “di pari”, in effetti, non può sostituire nel merito il messaggio politico, ovvero la proposta, ma ne costituisce un valido sostegno alla sostanza. Il rischio, però, è la decontestualizzazione continua della proposta stessa. In altre parole il cosiddetto dibattito ha una sua funzione imprescindibile su Internet se inquadriamo correttamente la rete per quello che essa è, uno strumento. Se ciò non avviene, potremmo veder tornare indietro le caratteristiche che il dibattito stesso possiede nella realtà: se si delinea intorno ad un preciso nocciolo di pensiero vede accrescere il valore del messaggio, altrimenti assume la forma potenzialmente sterile di un chiacchiericcio fine a sé stesso. Le componenti di discussione, da sole, non fanno “il” messaggio ma lo arricchiscono.

Dunque il principio a cellule ha sicuramente un vantaggio competitivo intrinseco e potenziale, ma ne assume il valore maggiore solamente se associato ad una spinta ideale, che è propria del messaggio dall’alto o per meglio dire “alto”, come quello che ha consentito a Obama di potenziare al massimo il meccanismo di propaganda elettorale, ottenere moltissimi soldi nella campagna ed orientare l’elettorato a suo favore al momento del voto. Se il messaggio fosse stato di basso profilo, o semplicemente una somma di parti, non avrebbe goduto del procedimento di espansione ottimale descritto dal suo successo sul Web.

In questo contesto, appare dunque chiaro che il sito di riferimento, il blog o qualsiasi altro elemento devono diffondere un messaggio e ricalcare un riferimento politico-ideale comune, altrimenti si crea una dissonanza che può distruggere la coesione delle cellule sostenitrici del messaggio. Un esempio di questa dissonanza lo possiamo trovare nel nostrano Partito Democratico: il messaggio alla base dell’idea politica è molto parcellizzato e diffuso, ma in effetti proprio la teorizzazione di una pluralità nel diffondere il messaggio fa mancare una “mappa ispiratrice” univoca e condivisa, un “nocciolo duro” di pensiero. L’effetto che si rischia è che ogni contributore del messaggio ne esprime uno proprio, questo tuttavia invece di arricchire il nucleo inziale ha la conseguenza di innescare una catena di infiniti messaggi uguali come peso ma dissimili nella sostanza, che viene convogliata essenzialmente in una mancanza di proposte politiche univoche e nell’anti-politica, cioè nell’essere “contro”, e nel trovare l’unità soltanto da questa diffusione di messaggi ad assertività contraria. 

D’altro canto, il rischio opposto è dell’implementazione di una sola componente del messaggio, privandolo della spinta ideale e diffondendolo in una modalità controllata centralmente, eliminando contestualmente la forza propulsiva ed arricchente sia del principio ideale, sia della componente spontanea e condivisa. La rete in questo caso crea il vortice opposto, annullando le differenze e convogliando il consenso in forma contraria: mancando la mappa ideale, ogni componente non ne esprime alcuna, e non costituisce dibattiti; si appiattisce sull’unica presente, quella proveniente dall’alto, e ne ripete immodificata la forma, senza risultare convincente, e mostrandosi solo estensione delle altre forme tradizionali di propaganda elettorale.  

Dunque, nella gestione del messaggio è in ogni caso evidente il problema, amplificato dalle dinamiche della rete, che se questo rappresenta soltanto un mero spot elettorale, un’eco di quanto possa essere il vecchio comizio, o comunque non possegga altro che la variazione di metodo, ma non di sostanza, il politico e il soggetto politico di fatto non stanno usando Internet – e tantomeno il Web 2.0 – per valorizzare e per rendere più forte quel messaggio, corroborato dal consenso formatosi spontaneamente e nel merito del contenuto, ma lo stanno solo dilatando. E questa dinamica di dilatazione non si rifà che ad una quantificazione, senza un atteggiamento critico che porta valore aggiunto, dedicata alla massa di voti, i quali, senza bisogno di sforzarsi troppo, rimarranno gli stessi che ci sono al di fuori della rete. In altre parole la potenzialità di internet viene sottoutilizzata, o per meglio dire, vanificata.

L’utilizzo che di Facebook stanno facendo molti politici, ad esempio, contribuisce a rafforzare questa sensazione. Si può diventare sostenitori o fan di un politico attraverso la sua pagina su Facebook. Ma è tutto un fiorire di “Sostieni Antonio alle Europee”, “Noi votiamo Marco al 100%” etc. corredato da foto, programma politico, qualche intervento del candidato e in generale interventi magari ridondanti dei sostenitori, i quali sono spesso tali a prescindere dal contesto di Facebook o del Web. In questo approccio, manca il ricorso alla diffusione “sociale” del messaggio, quella distribuzione di pensiero che potrebbe usare strumenti come quelli del Web 2.0 come e meglio di quelli reali.

La stessa cosa si potrebbe vedere attraverso la lente di Youtube, altro strumento social molto utilizzato, anche dai politici che recentemente l’hanno scoperto per una diffusione broadcast a basso costo ed alta resa alternativa alla televisione. Tuttavia, al di là delle “semi-amatoriali videate” di Antonio di Pietro (riprendo dal già citato post di Giorgio) e pochi altri esempi, non mi sembra che ci sia molto di nuovo, con poche lodevoli eccezioni come l’intuizione di Tolleranza Zoro.

L’uso che se ne fa risente ancora pesantemente dell’atteggiamento tradizionalista dell’approccio mediatico: la politica, specialmente quella italiana, non prende le misure ai nuovi mezzi e gli stessi cittadini-elettori rimangono avvolti in un calderone di notizie e dati (spesso non verificati) di blog e di antiblog che dicono tutto e il contrario di tutto, parzializzandosi una volta su una propaganda senza differenziali da quella offline, un’altra volta su una pseudo-informazione di stampo anticlericale o vistosamente becera, quando non razzista o estremista.

La visione, però, che la rete offre al di là degli schemi tradizionali consente di porre ideali di confronto e di visione spesso più approfonditi rispetto al dialogo offline, perché utilizza i canali della scrittura in modo esteso (in rete siamo tutti scrittori..) e perché allarga l’interazione ad una platea ampia, ma richiede per questo tempo, volontà e voglia di approfondire i temi: tre componenti non sempre presenti e possibili per ogni tornata elettorale o per ogni candidato. Queste componenti, però, sono importanti quando si esercita un principio politico di cambiamento, ed è lì che la rete può diventare importante e determinante.

Prova ne è che appena si esce fuori dagli schemi, la socialità di internet mette in imbarazzo il potere politico che non la sa gestire e non ne sa accettare il principio di libertà.
Rimanendo su Facebook, appare indicativo ad esempio che non appena si cerchi di farne un mezzo per diffondere un messaggio riformista, si blocchi addirittura l’accesso prima delle elezioni: è quello che sta succedendo in Iran. Caso estremo senz’altro, ma emblematico.



Chiarita l’importanza del messaggio, possiamo osservare che nel novero degli strumenti 2.0 che si possono utilizzare in una campagna politica, in effetti, non c’è limite alla creatività. Il passaggio fondamentale è contestualizzare l’uso che si fa della rete intorno ai punti fondamentali del messaggio, dopodiché ogni strumento offre pro e contro che si possono validamente confrontare basandosi sull’esperienza diretta (cioè usandoli) o valutandone le caratteristiche, o consultandosi con chi ne ha maggiore dimestichezza. Alcuni li abbiamo già visti nella puntata scorsa, di altri magari ne parlerò in un prossimo post, altri si affacceranno nei prossimi mesi o anni, non ha importanza.

Due aspetti, credo, sono importanti da sottolineare prima di concludere questa lunga riflessione politico-internautica: uno più politico e di metodo, il secondo concreto.

Il primo aspetto è che qualsiasi strumento 2.0 su Internet ha una limitazione che non tutti inizialmente colgono e cioè che il popolo del “social web” non è una proiezione esatta della popolazione reale. Da una parte non ne è una rappresentazione demograficamente equilibrata, mentre dall’altra vi è rappresentata una porzione politicamente abbastanza omogenea. Si tratta delle generazioni al di sotto dei 40/45 anni, dal livello culturale tendenzialmente medio-alto, e che guardano a sinistra non per strabismo ma perché è attualmente l’area politica che maggiormente raccoglie le riflessioni decontestualizzate tipiche del mezzo e del momento storico. Attenzione, però, non stiamo ancora guardando alla composizione di “tutta” l’Internet, bensì della popolazione “2.0”, che comunica in modo orizzontale ed aperto, che permea le discussioni sui blog, sulle riviste e sui siti di tendenza come Wired, e che nel mondo reale organizza convegni, incontri o barcamp nei quali vi è un flusso di riflessioni e di discussione partecipativo ed aperto.

Dalla precedente osservazione, ne scaturisce dunque subito una strettamente correlata: dove sono finiti gli altri? La silenziosità, o la scarsa interattività della parte di frequentatori Internet che non sono allineati con questa parte politica è oramai nota, ed è stata definita di volta in volta in modo diverso: timidezza, ritrosia, timore, scarsa quantità di tempo, etc.  Di fatto, una certa ritrosia a non essere “aggrediti”, lamentata da chi propone valori e principi (magari cristiani, ça va sans dire), è pur vera, ma è sempre comoda da riproporre come giustificazione, ed ovviamente non basta. Il nodo del problema potrebbe trovarsi nelle difficoltà a proporre una visione aperta e democratica della riflessione politica che una certa parte avverte nella “socialità” del Web. E questo fattore è difficilmente eludibile. Dunque il lavoro da portare avanti, a mio avviso, è sicuramente quello di favorire uno scambio di vedute che ponga l’indipendenza di pensiero al centro della riflessione e il messaggio “alto” (non “dall’alto”) come valore in sé e traguardo raggiungibile. Seguendo le sole mode imposte dal momento, come l’opinionismo, tanto in voga in Italia, o la stessa deriva del pensiero debole, il rischio che si corre paradossalmente è di sembrare cugini poveri della televisione: recentemente il bravo giornalista e deputato Andrea Sarubbi ha fatto uno scherzo dicendo “torno a fare tv. Adesso nel mio blog mi leggono mille persone: prima avevo due milioni e mezzo di ascolti con la mia trasmissione“. Era sì un pesce d’aprile, ma come lo stesso autore sottolinea, con un fondo di verità.
E’ dunque vero che il Web non ha ancora la forza e i numeri per raggiungere la parte più ampia della popolazione, ma non si può prescindere dal fatto che è interessato da una sorta di linea editoriale molto precisa, e che nessuno può nascondersi dietro ad un futuro nel quale la rete avrà un’importanza ed una diffusione capillari. E questo futuro è molto più vicino di quanto si pensi. Su Internet c’è spazio per tutti, e sembra evidente che dovrebbe essere la politica tra le principali istanze di pensiero a solcarne le rotte, liberandosi il prima possibile dai vecchi schemi.

Materia per riflessioni più estese, sicuramente.. sulle quali mi piacerebbe conoscere il pensiero di chi mi legge.

Il secondo aspetto, più pragmatico, è che il social Web, soprattutto con le ultime applicazioni per l’organizzazione di eventi (Facebook stesso, Upcoming, etc), più le varie applicazioni che possono essere utilizzate per aggiungere uno stato o una breve frase e diffonderla a chi interessato, sono eccezionali strumenti per definire geograficamente il percorso politico inteso nel vero senso della parola. L’aspetto localizzazione è forse quello che meglio si appresta ad essere utilizzato in questo contesto: basti pensare ai discorsi che un politico può fare in diversi paesi collocati in luoghi distanti. Chiaramente pochi hanno tempo o voglia per seguire il sito, e meno ancora frequentare il locale circolo politico per sapere tempi e luoghi di una presenza. Viceversa, un messaggio su Twitter con un “Sarò a Tarquinia domani alle 16 per una riflessione sulle energie rinnovabili”, potrebbe rivelarsi un ottimo veicolo per conoscere un intervento di cui magari non si sarebbe venuti a conoscenza. Ovviamente, per chi abita o si trova da quelle parti. 🙂

Nelle prossime puntate (se avrò il tempo di scriverle), mi piacerebbe esaminare le relazioni che i vari strumenti creano l’uno con l’altro, inclusi i collegamenti stessi che dal sito del soggetto o del candidato politico si intrecciano tra i nodi dei siti Web e tra questi e gli strumenti che consentono di diffondere il messaggio nel Web 2.0.

Post su altri blog

Reputazione Politica su Internet: il fattore Noemi, di Roldano De Persio

4 thoughts on “La gestione del politico 2.0 (2 – occhio al messaggio)”

Comments are closed.