Luciano Giustini ragionamenti a lettere..

Analisi del voto


In realtà, l’analisi in quanto tale (chi ha votato e perché..) la devono fare i politici di professione, poiché ogni politico conosce il proprio collegio elettorale. Io mi limito a fare qualche banale riflessione sui dati di voto e sulle conseguenze.
A livello europeo, la situazione mi pare imbarazzante: ai nuovi paesi dell’Est non gli interessa granché dell’Europa (sembrano dire “bella, ma abbiamo ancora qualche problema in più da risolvere”), mentre il resto del vecchio Continente punisce tutti i governi in carica (fatta eccezione per la Spagna) senza esitazioni. Superato il dato di affluenza medio (intorno al 44%), il voto lascia molti sconfitti sul campo: non tanto per i governi di Germania e Francia, comunque puniti, quanto per l’Inghilterra, con un crollo senza precedenti per Tony Blair e il suo partito (di sinistra, benché guerrafondaio).
Il dato generale che si desume può intepretarsi in vari modi, ma una cosa appare certa: agli europei vecchi e nuovi non piace un’Europa che, partita come un’aggregazione economica, è rimasta esattamente come un’aggregazione economica. Senza scostarsi di un millimetro da quella concezione da banchieri che tanto piaceva e piace a Ciampi (ex-banchiere) e ai burocrati europei, ma che ha un ruolo nella politica estera pari quasi a zero. Con un’ondivaga incertezza su temi importanti come guerra all’Iraq e ruolo dell’Onu, il messaggio lanciato dalla UE è sempre lo stesso: finché si parla di politiche economiche, siamo tutti (quasi) d’accordo, altrimenti ognuno per sé. E ci si allarga contemporaneamente a tempo pieno, senza aver varato una serie di riforme politiche strutturali ed una carta costituzionale valida: il che è una strada pericolosa, a mio avviso. Comunque…
Togliamoci dall’imbarazzo europeo e partiamo con le considerazioni nazionali: l’Italia è ancora una democrazia fondata sui pregiudizi. Uno in particolare: a governare è meglio la destra, ad amministrare è meglio la sinistra. O no?
A me sembra evidente che la disposizione dei voti punisce molto di più l’amministrazione di centrodestra di quanto non avvenga a livello di esecutivo. L’italiano medio ritiene, vuoi per tradizione culturale, vuoi per carattere latino, che a governare un Paese complesso come il nostro serva un esecutivo “forte”, con carattere. Ora, voi pensate a Fassino, a Rutelli, a Prodi ed alle mille componenti della sinistra italiana che discutono in continuazione su cosa sia meglio fare e su cosa no, e forse è possibile capire perché alla fine, questo italiano medio (ammesso che esista) possa decidere di votare Berlusconi, o Fini, o chiunque altro.
E’ la politica del “Fare”: la parola d’ordine del centrodestra. In contrasto con la politica del “Parlare”: tutti ordinatamente e con (apparentemente) pari dignità. Che è la parola d’ordine del centrosinistra. Che però non porta mai lontano. E’ utopia che tutti possano sempre dire la loro, in ambiente di governo come in qualsiasi altro ambito operativo. La molteplicità di opinioni è sacrosanta, sia chiaro, ma alla fine bisogna concludere, e su questo si basa l’opera di un governo, quel che la gente ricorda.
Passando di palo in frasca, mi sembra che An, Udc e i Comunisti potrebbero incarnare il “successo” ed il senso di queste elezioni, gli archetipi di tre anime politiche dell’Italia.. An sono i decisionisti per tradizione, a volte arroganti, pure puntigliosi, e fedeli. Udc sono i moderati che dovrebbero essere “illuminati”, garbati, riflessivi, mai una decisione affrettata, pronti al dialogo, ed a difendere i valori: a parole, nei fatti molto meno. I Comunisti sarebbero i “ribelli”: pronti a scatenare l’inferno per qualche aspetto che ritengono ingiusto – anche se magari di secondaria importanza, allergici alle regole ed ai doveri, ma pronti a battersi per i diritti, di tutti, e con gli ideali (e le ideologie) in primo piano, a parole.
Il resto? Beh a me dispiace molto ad esempio che i Verdi in Italia siano così sottovalutati, ma a ragione. Io sono sempre stato un ambientalista convinto, e lo sarò sempre. Non credo di essere il solo, dopotutto. Eppure vedo che nelle altre regioni europee (una su tutte, la Germania oggi) i Verdi pesano e contano molto di più. Nell’incontro col senatore verde Cortiana di qualche settimana fa, mi ha colpito – e penso sia un po’ la chiave di questa situazione – la considerazione che in Italia i Verdi non siano visti con “dignità” di partito. Sono considerati, invece, come un’anima un po’ fantasiosa ed estremista del Centrosinistra, e non fanno nulla per spostarsi da un automatismo che associa gli ambientalisti a questo schieramento politico. Il che, sinceramente, è seccante: d’accordo tutti i temi ecologici ed ambientalisti che ci sono in ballo, ma forse i Verdi dovrebbero fare il grande balzo. Abbiamo bisogno di un partito più che di un movimento d’opinione, ed anche di una vera “ecologia della politica”. In realtà avremmo e avremo bisogno anche di un’azione politica più incisiva. Voglio dire, c’è Matteoli di An come ministro dell’ambiente, qualcosa su cui bisognerebbe riflettere un momento. E un Pecorario Scanio che si fuma i sigari e beve il buon vino, partecipa a mille tavole rotonde e via di questo passo…
Esaurite le banali elucubrazioni politiche, il dato che emerge dalle amministrative è cristallino ed univoco: tutti a sinistra, appassionatamente. I risultati più significativi sono quelli legati ai personaggi “chiave”. C’è stata la conferma di gradimento per Veltroni a Roma (dove non si votava per le amministrative), sindaco dal 2001, e soprattutto il successo di un Renato Soru noto agli internettiani per via di Tiscali, che diviene Governatore della regione autonoma della Sardegna. Di Soru dunque sappiamo solo che è un ottimo imprenditore, tagliato per la new economy, ed ha un forte orgoglio sardo: nel suo programma ha scritto cose interessanti e che mostrano amore per la sua terra. Non ha un’esperienza politica e questo potrebbe penalizzarlo, ma ha dalla sua il consenso e questo all’inizio potrà bastargli per trovare la strada giusta, ma questo si potrà dire solo col senno di poi.
A Bologna vince Cofferati e questa secondo me è una buona notizia, perché così esce dalla politica nazionale per un po’: credo che il suo estremismo concettuale e il suo attaccamento allo scontro frontale non servano a molto in ambito governativo, sicuramente non in una situazione politica come la nostra dove gli scontri non preannunciano mai nulla di buono.

Ancora, mentre la Lega Nord mantiene le sue posizioni ed anzi guadagna, forse sospinta anche da un effetto “Bossi” in malattia, i piccoli partiti ad personam (Di Pietro Occhetto, Sgarbi, Mastella, ecc.) rimangono in percentuali da prefisso telefonico ma in grado potenzialmente di influenzare l’azione politica di entrambi gli schieramenti.
Insomma, in conclusione Forza Italia ha perso 4 punti, mentre Prodi non decolla: e questi sono anche i titoli dei principali quotidiani di questi giorni. Si intuisce che, da una parte il Paese esprime il dissenso per Berlusconi mentre dall’altra verso Prodi e una coalizione che non convince. Diciamo così: fin dalle politiche del 2001, per me era intuibile che Rutelli sarebbe stato solo un paravento, con incarico prestigioso garantito per il futuro, di Prodi, e Prodi la “carta vincente” del centrosinistra.
Ora ci si accorge che forse neanche quest’alchimia telefonata convince l’elettorato di sinistra. “Prodi mortadella”, come viene chiamato sprezzantemente, ondivago, che non piace ai cattolici perché pronto a soprassedere sui valori per soddisfare la sinistra, e non piace alla sinistra perché cattivo promotore dei suoi ideali (o ideologie). Un catto-comunista drammaticamente antistorico, un pasticcio all’italiana, un burocrate della politica.
Sarà. Ancora una volta, a me sembra che manchino persone in grado di fare la differenza: statisti che guidino una coalizione forte, vincenti per autorevolezza, serietà, lungimiranza, capacità ma anche moderazione e propensione al dialogo quando c’è necessità, ed all’accordo bipartisan su temi di interesse nazionale. Un tempo c’erano politici del rango di Berlinguer e di Moro. Oggi, nell’epoca del pensiero debole, chi c’è?

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