Luciano Giustini ragionamenti a lettere..

Il Concorso

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Calvin & Hobbes ©2006

In
questo momento di lettere tra padri (famosi) e figli, di denuncia sul difficile
mondo del lavoro in Italia, e di inviti che i primi fanno ai secondi di
andarsene dall’Italia per avere un riconoscimento meritocratico (Figlio
mio, lascia questo Paese
, Pier Luigi Celli su Repubblica), vi voglio
raccontare la mia esperienza.

Questa storia prende inizio un po’ per caso, da un evento prodromico verificatosi nei primi mesi del 2009, che vale la (breve) premessa.

Allora lavoravo in una società di informatica. Provenivo da un periodo passato in Telecom Italia, dove mi ero abituato ad un ambiente aperto, gradevole, e…grande (i famosi open space), e mi ero ritrovato a lavorare in un piccolo appartamento a stretto contatto con persone che, ad onor del vero, non sembravano molto cordiali. Tempo pochi mesi e i rapporti si erano ulteriormente incrinati: siccome la mia società aveva lasciato la commessa con Telecom io dovevo rimanere in quello spazio ristretto a fare non si sa bene cosa.

A parte questi piccoli inconvenienti, c’era un problema di fondo, che avrei capito solo più tardi: un ingegnere 38enne che irrompe nella consolidata e stantìa prassi di una piccola società di informatica che ha le sue consuetudini, i suoi capi e capetti, ed i suoi rapporti di forza già presenti da decenni, può creare due effetti: o di rottura innovativa oppure di graduale asservimento. Il mio si può dire che fu di graduale rottura.
Caso volle che, a causa di alcune difficoltà di carattere tecnico la cui colpa veniva addossata in parte anche a me, scoprì, nella configurazione sistemistica predisposta dal responsabile informatico una possibile causa della farraginosità dell’aggiornamento che, oltre a rendere più lento il processo, creava notevoli possibilità di errore a chi doveva farne uso. Intendiamoci, nulla di terribile, ma il capo (un ingegnere) che non ne sapeva nulla, chiese conto al responsabile di quell’invenzione. Ci misi poco insomma a farmi nuovi amici..

Dopo aver subìto delle (neanche tanto) velate minacce (roba da fare una vertenza per mobbing…), a marzo arrivò la convocazione dal capo: il rapporto di lavoro si doveva risolvere, per reciproca incompatibilità e reciproco rammarico. Così fu.

Chiusa la premessa, torniamo all’evento del titolo. Qualche settimana dopo, mentre stavo cercando di capire e riorganizzare il mio futuro professionale, sul quale incombevano pesanti nubi, mi cadde l’occhio su un concorso che si svolgeva in una primaria Pubblica Amministrazione del Lazio. Tra le figure professionali richieste c’erano anche informatici, così decisi di partecipare alla prova preselettiva: era giugno, e mi ritrovai insieme a circa 3000 persone.

Questo non era il primo concorso a cui partecipavo, quindi non mi facevo grandi illusioni: come tutti, ci si prova, sperando nella buona stella o in qualche santo.
Allo scritto, non c’erano le solite domandine su quanti cubi entrano in un rettangolo (…), ma c’erano molte domande di cultura generale, e in quel ramo non me la cavo male. Morale, dopo un mese uscirono i risultati, ed io ero tra la trentina di candidati che l’aveva superata!

A quel punto c’era la prova scritta vera e propria sulle materie del concorso. Diritto (per me nuovo), e ovviamente informatica. Passai l’estate a studiare (praticamente solo il primo), e a ottobre andai alla seconda prova del concorso.

E qui la faccenda inizia a farsi interessante.

Non solo passo il secondo scritto, cosa che per me non era affatto scontata dato che diritto non rientrava tra le materia di mia competenza, ma lo passo col voto più alto! E qui c’è una buona dose di soddifazione personale: nell’ultimo concorso, per dire, non ero riuscito a rientrare neanche nelle prime posizioni. Ora invece non solo mi ritrovo all’orale, ma primo in graduatoria..
Dunque una favorevole concomitanza di eventi, destinata certamente a non ripetersi.

Qui inizia anche il mio, per così dire, “calvario”. Già il giorno stesso della prova mi sento male, ma resisto comunque fino alla fine. Da quel giorno e fino alla prova orale, il mio maldistomaco non mi darà tregua. Alla fine avrò perso circa 7 kg in poco meno di due mesi (di sola dieta bianca).

Ma il calvario non è soltanto nella preparazione e nell’ansia patologica che inevitabilmente mi porto dietro. C’è in gioco la dignità del futuro professionale, e soprattutto c’è l’aspetto della famigerata “raccomandazione”.
Fino a pochi anni fa, arrivati a 50 anni non ti assumeva quasi più nessuno. Oggi siamo scesi a 40. E senza un lavoro non è possibile neanche formare una famiglia, o diventa molto difficile.. Pensieri che ti attanagliano lo stomaco e il cuore, e ti affollano la mente.

Già, la raccomandazione. In Italia sembra che non si possa fare un concorso se non si ha qualche spintarella, qualche aggancio, qualche politico che fa una telefonata, che manda una letterina, o un amico vescovo, un…santo in terra, e così via. Chi mi conosce, sa però che a me non piacciono i compromessi. E’ ben difficile andare in giro a dire ed a scrivere che la politica e le persone devono avere un’etica se poi io per primo, alla prima occasione, metto da parte i principi ed i valori che difendo per avere un tornaconto personale.

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Decido così di non chiedere niente a nessuno. Dopotutto sono primo in
graduatoria: se dovessero mai fare qualche cosa strana, sarà ben
difficile che possano arrivare a tanto, penso. Comunque anche se ci
sono raccomandati io cercherò di fare del mio meglio e poi,
..confidiamo nella correttezza degli altri.

In questo
ragionamento conta anche la probabilità: per superare l’orale il minimo
voto é – per bando – 21/30. Nella mia carriera universitaria ho fatto
decine di esami, e tra questi molti orali. Così, pur nella variabilità
e nella differenza che ci può essere tra un esame concorsuale ed uno
accademico, posso dire di conoscere un po’ le metodologie di
valutazione del merito nelle prove di un certo rilievo.
La prima
modalità, quella classica, è la media dei voti delle prove effettuate:
se le prove sono più di due, si pesa la prima prova scritta e la
seconda in modo diverso, e così per le altre. Se le prove sono due,
come in questo caso (la prova preselettiva infatti non si calcola), la
votazione finale è la semplice media tra i due voti. Per quanto
riguarda lo scritto, la valutazione del risultato viene effettuata con
mezzi meccanizzati, e dunque la discrezionalità è pari a zero. Per
l’orale conta il numero di risposte corrette enunciate, l’esposizione,
ed altri parametri che vedremo fra poco.

Insomma, è difficile
partire da una votazione molto alta allo scritto ed arrivare a un voto
finale basso, a meno che non si faccia scena muta all’orale.

Così, veniamo al dunque.

Per avere omogeneità di giudizio all’esame
orale, tendenzialmente il numero di domande è uguale per tutti i candidati, mentre ad ogni
domanda viene assegnato un voto dipendente dal
“peso” della domanda e dalla risposta (se c’è) del candidato. Naturalmente, lo
stesso numero di domande verterà su argomenti omogenei in modo che non vi sia spazio per le preferenze: una domanda 
verterà sempre sull’argomento “A” (ad es. gli articoli di una stessa legge o insieme omogeneo di leggi), due domande sull’argomento “B”, di cui magari una sarà con una parte scritto-grafica ed una verbale, poi una prova tecnica, una linguistica (ove previsto) e via dicendo.. Gli argomenti su cui vertono le domande sono descritti adeguatamente nel bando del concorso.
Dov’è
la discrezionalità? La discrezionalità può esserci soltanto in un
ambito: poiché ogni risposta coinvolge diversi aspetti, dall’esposizione di concetti spesso presenti nel contesto di una singola domanda
complessiva, al parere che si forma l’esaminatore sulla base delle risposte (una profonda incertezza nella risposta può svelare le lacune), chi assegna il voto può gestire il “pacchetto
massimo” assegnato a quella domanda per determinarne il peso. Ad esempio,
se su un articolo il candidato esprime correttamente il
contenuto della legge ma omette di specificare la pena, il
monte punti di quella domanda (poniamo 1), sarà decrementato (poniamo
di 0.3 punti) e quindi il risultato finale sarà inferiore (nel nostro
esempio 0.7).

Prima di proseguire una precisazione: per ovvi motivi non giungerò ad alcuna conclusione nè suggerirò alcun
percorso teorico o predeterminato: mi limiterò a raccontare quello che ho sperimentato.
Le eventuali conclusioni le lascio al
lettore.
Io ho volutamente rifiutato raccomandazioni politiche per coerenza verso me stesso e verso gli altri e per vedere fino a che punto sarebbe arrivata – se presente – la discrezionalità, e infine per verificare se l’Italia è un Paese più vicino o lontano dall’Europa lavorativa.

Arrivato il giorno dell’orale, giunge il mio turno e mi siedo di fronte alla commissione, mentre dietro ci sono gli altri che ancora devono essere sentiti o quelli già sentiti che attendono l’esito. L’ansia è a mille, ma cerco di mantenere la calma. Mi viene posto davanti un foglio di domande di Diritto: vengo invitato a leggerle con calma. Le so quasi tutte! Inizio dalla prima…, mi impappino un po’ ma mi riprendo subito, poi attacco con la seconda, che so quasi a memoria, e via le altre. Intanto,  un’esaminatrice della commissione mi fa la domanda di Diritto penale: rispondo correttamente.  Il presidente di commissione però mi chiede anche la pena massima edittale, che sbaglio. Lascio per ultime le due domande scritte che non ricordavo. Inizio a rileggerle per fare mente locale, si capisce che non le ricordo bene ma decido di provare a rispondere per ragionamento. Su una sbaglio parzialmente, sull’altra no, alla fine insomma sembra che abbia smarcato l’ostacolo. Passo alle domande di Informatica: tutte superate senza particolari problemi.
Passo alla traduzione nella lingua prescelta (inglese): neanche un’esitazione, dopo quattro anni passati con una ragazza straniera parlando solo inglese era il minimo! Infine, arriva il componimento obbligatorio di un documento amministrativo, che scrivo correttamente, ero andato a sentire gli orali il giorno prima e sapevo che sarebbe stato chiesto. Consegno e firmo.

Mi alzo felicissimo e sorridente. La commissione ci fa uscire dall’aula per riunirsi in consiglio. Nell’atrio della sala chiedo agli altri compagni di concorso secondo loro com’è andata. Uno mi risponde “alla grande!”, gli altri annuiscono, pacche sulle spalle. Auguri, in bocca al lupo a tutti.

Con questa gioia mi reco ad un convegno che c’era proprio quel giorno. La graduatoria finale, infatti, verrà esposta più tardi in giornata.

Torno quindi nella sede concorsuale in tempo per l’ultimo esaminando, e ci mettiamo tutti in attesa del verdetto finale..

Dopo circa un’ora di camera di consiglio, vengono affissi per primi i risultati delle prove orali. E lì già arriva la prima doccia fredda: io ho conseguito un voto basso, ci rimango molto male e non mi capacito del giudizio così deludente: pensavo di essere andato molto meglio ma evidentemente mi sbagliavo. Ma dopo qualche minuto arriva la mazzata, perché vengono affisse le graduatorie finali: sono Idoneo (ed è bene), ma sono fuori da quelli che verranno immediatamente assunti. Purtroppo, per pochi decimi di voto.

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