Le difficoltà dello startupper nostrano | Luciano Giustini

Le difficoltà dello startupper nostrano


 
Startup Lokal v.3

Image by Chandra Marsono via Flickr

Sembra facile, all'inizio. Perché c'è un certo entusiasmo, ci sono un paio di buone idee (certificate da colleghi e consulenti), c'è voglia di fare. Il percorso, come fondatore su web e poi come dipendente di imprese di tutti i tipi, dalle piccole alle multinazionali, sembra deciso: mi faccio la società! (tipo "mi faccio la barca", storico film di Johnny Dorelli, per chi se lo ricorda...).

 

La maggior parte dei miei amici coetanei ha fondato società, ed ero rimasto l'unico a non farlo. Avevo creato redazioni , riviste, siti, progetti, e sono pure entrato in società con altri. Poi, mi sono voluto laureare per far contenti genitori e parenti, pensando che questo avrebbe tranquillizzato anche la coscienza.

 

Ma a contratto come dipendente, ho scoperto progetti senza capo né coda, report senza senso, e soprattutto subappalti informatici "a loop infinito" (società A prende la commessa e dà in appalto a società B che la dà in appalto a società C che la fa fare a società D che la fa eseguire materialmente alla società E),  e macchinette del caffè tremendissime hanno creato, penso, la mia superficiale sicurezza che il mondo dell'informatica come dipendente in fondo va avanti benissimo anche senza di me. Anacronistici orari 9-19, di cui 3 ore passate in auto, due ore per mangiare, e il resto davanti a un monitor, interminabili pomeriggi davanti al monitor, e la concomitante passione per tutto quello che si muoveva su internet bruciava dentro.

 

Covava quindi sotto la cenere lo spirito dell'iniziativa: mettersi in proprio per cercare una via di fuga dalla monotonia e dalla dipendenza (da progetti assurdi). E la riflessione ambigua : "Tu non farai gli errori che hanno fatto altri perché hai l'esperienza dalla tua". Illuso.

 

L'entusiasmo, la voglia di fare, il "coraggio dell'intrapresa", è durato infatti giusto il tempo necessario per inoltrarsi in un mondo, quello delle startup, che apparentemente viene descritto come avvicinabile, ma che in realtà nasconde molte insidie ed ambiguità. Soprattutto per chi non è più giovane.

 

Da buon metodico razionalista, ho provato quindi ad  informarmi: partecipando a convegni, workshop, incontri, , scambio di opinioni con addetti ai lavori, ipotesi di lavoro, consulenze di amici e colleghi. E poi, con l'entusiasmo in tasca (e vi assicuro non è facile a 40 anni), ho mandato la prima mail esplorativa ad un famoso amico che "startuppa".

 

Risposta esplorativa: "Certo Luciano, mandami il pitch".

 

"E cos'è il pitch?" mi domandavo tra me e me, mentre mi chiedevo anche "ma perché non mi invita semplicemente a prendere un caffè e ne parliamo?"... Beh, non funziona più così.

 

Ecco il primo problema. Un tempo, e questo lo ammetto con estrema facilità, capire se c'era possibilità di fare qualcosa insieme era un rito regolato da incontri de visu. Creare oggi un'impresa, invece, significa passare per un percorso standardizzato ed asettico, e questo è un processo difficile per chi, come me, conosce il mondo di internet da 20 anni (purtroppo non scherzo, era il 1992 quando mi collegavo la prima volta).  A cosa sarà servito?

 

In realtà serve: molti mi conoscono, godo di quella che si chiama "una buona reputazione" (?) ma, ovviamente, questa è utile se stai ad un party e ti presentano una ragazza, o se fai marketing per la tua azienda, ma per creare una startup è diverso: bisogna dimostrare a qualcuno che ti deve dare soldi, che la tua idea farà soldi, e non solo:  che non ti ci affezionerai, e la cederai volentieri quando diventerà profittevole.

 

Azzero tutto e riparto: "pitch" è una cosa tipo pre-presentazione, e poi c'è il "seed", il "meetup", gli "angel", i "round" e tutto il rosario di inglesismi necessari in quest'ambito perché l'importante è una cosa sola: l'idea da finanziare deve essere internazionale, altrimenti nessuno ti dà retta... E questo è un altro scoglio.

 

La mia idea sarà bella e brava, ma se è italiana, nessuno la vuole finanziare. Non fraintendetemi, non ho detto che non si può rendere "internazionale", come piace ai finanziatori, ma è una cosa che, seppure su web, si scala su mercato locale. E include incontri di persona. Mi piace unire il mondo telematico con i rapporti umani "reali",  e non ho mai pensato che le due cose possano essere scisse (anche se si tende a fare proprio questo oggi, virtualizzando tutto).

 

E' difficile far penetrare questo approccio nel "pitch", o in un'application form. Davvero.

 

Ho provato a contattare un laboratorio di incubazione: già il termine non mi piace perché mi ricorda sempre qualcosa di brutto, ma poi in questo contesto si usa ripetere molte volte la parola "giovani" che mi fa sempre sentire leggermente inadeguato alle aspettative.  Comunque, con ancora un po' di entusiasmo dello startupper in tasca, ho compilato quella che si chiama l'"application form". A mezzanotte e un minuto il server mi ha detto che ero fuori tempo massimo e alla 24esima scheda compilata mi ha sbattuto fuori. Mi sono sentito "fuori tempo massimo" anche io.

 

Il problema è che dietro a questa idea c'è una storia. Se non si conosce la storia, non si capisce l'idea. Non basta scriverla su un pitch o un'application form, o almeno quello va bene, ma bisogna anche parlarne e raccontare qual è la passione sottostante l'idea, bisogna fermarsi  un momento per farsi descrivere cosa c'è dietro, le persone che la vorrebbero portare avanti, le loro motivazioni, il piano di massima, la strategia. Difficile definire un approccio del genere, ma a ben vedere sono (siamo) tutte persone che hanno esperienza di impresa e hanno alle spalle business già fatti. Quindi persone +  idee. A me piace pensare che la persona venga sempre prima dell'idea, ma forse ho un concetto troppo ideale di impresa. Un giorno però questo concetto l'ho sentito dire anche da un famoso esperto di startup, e mi ha fatto molto piacere. Ma poi non ho avuto il coraggio di dirgli altro. Sono timido ed ho la paura del rifiuto...

 

Oggi, mi è venuta voglia di scrivere questo articolo per un motivo: mentre giravo tra notizie di finanziamenti e portali di autoaiuto per aspiranti startupper, la mia attenzione è stata rapita da questo titolo: "Voglia di impresa? Troviamoci per un aperitivo!" E vai, ho detto. Finalmente l'approccio giusto che cercavo! Vado, clicco, e leggo.....ed è un peccato,  l'iniziativa è per sole donne.

 

Forse loro sì, che hanno capito tutto...



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Egomnia e il fallimento della mentalità degli startupper italiani (Antonio Lupetti, 10/07/2012)
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