Il declino dell'Italia e la lettera della BCE | Luciano Giustini
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Il declino dell'Italia e la lettera della BCE


 

(Nota: l'articolo è stato pubblicato anche nel sito di Persona è futuro)



Il Corriere della Sera ha pubblicato la lettera riservata che la BCE ha inviato al governo italiano i primi di agosto 2011 invitandolo a modificare la manovra finanziaria perché quella in atto (e già pesante) non bastava. Ho letto il documento e non mi scandalizza. La maggioranza di queste indicazioni sono pienamente condivisibili (riduzione degli stipendi pubblici, tagli alle mostruose spese della amministrazione, ecc.), ma non è peraltro una questione di soluzioni, è una questione di credibilità. La credibilità, come la reputazione, sono cose che non si possono comprare, né si possono inventare..

 

C'è però una cosa che mi urta molto in tutta questa faccenda. Ed è il fatto che da una parte l'Europa - e non solo l'Europa - guardano con molta preoccupazione al nostro Paese, e dall'altra una parte considerevole del nostro Paese sta letteralmente disfacendosi: il nostro Sud. Parallelamente alle lettere pubblicate della BCE, i dati pubblicati ieri  dallo Svimez (Associazione per lo Sviluppo del Mezzogiorno) sono raggelanti, e le stime tracciate per gli anni a venire non necessitano di commenti. I titoli dei giornali parlano di "secessione occupazionale", ed è anche un eufemismo: disoccupazione reale al 30%; economia ferma;  3 donne su 4 sono a casa senza lavoro; tra gli under25, 2 su 3 non lavorano;  dei 533.000 posti di lavoro persi in Italia nel periodo 2008-2010 il 60% è nel Meridione; dal 2000 al 2009 600.000 persone sono emigrati dal Sud; le città che hanno perso più residenti Palermo, Caserta, Taranto; arretratezza di servizi di infrastrutture scarsa ricchezza.. E si potrebbe continuare con altri dati relativi alla crescita dell'età della popolazione e allo svuotamento di giovani, ma meglio fermarci qui..

 

Non solo lo Svimez ma nella stessa giornata, quasi in un'ideale staffetta che segue quella di tutte le altre istituzioni finanziarie mondiali, J.P. Morgan affermava che l'Italia nel 2012 entrerà con ogni probabilità in recessione.

 

Di fronte a una situazione generale così drammatica (ripetuta peraltro come un mantra dalla Confindustria, che in genere si lamenta molto meno o lo fa con precisi indirizzi politici..) in generale visibile chiaramente nella situazione della popolazione,  viene da chiedersi come si possa infierire con delle misure così drastiche. La colpa ovviamente non è della BCE, è chiaro. Però dobbiamo riflettere sul fatto che il rischio, notoriamente, è che senza un cambiamento della società che sia vissuto, interiorizzato e capito, si ritornerà alla situazione di partenza dopo pochi anni.  Inutile aggiungere tasse, aggiungere tagli, ridurre le spese, ridurre i trasferimenti agli enti locali, ridurre i servizi, togliere e chiedere sacrifici alla popolazione quando c'è un pezzo enorme del paese che evade, che elude, che spreca, che vive sulle spalle degli altri, che evita qualsiasi coinvolgimento, che se ne frega, che pensa al proprio eterno guicciardininiano "particulare". E non solo è inutile ma è davvero cattivo chiedere sacrifici a un paese che, ad esempio al Sud, è in una situazione più da terzo mondo che da paese europeo. Chiedere sacrifici a un paese che ormai per non far crollare il PIL ha bisogno di più di 150.000 immigrati l'anno (fonte Bankitalia) ma che poi non è capace di integrarli, di assisterli e anzi in alcuni casi attira inesorabilmente la parte peggiore degli immigrati, i pregiudicati che in Italia pensano di trovare una situazione malavitosa favorevole. E spesso la trovano. Gli altri paesi cercano di attirare invece gli immigrati che vengono per lavorare, per integrarsi, per produrre. A volte, scherzando, dico sempre che l'Italia, in genere mi riferisco specialmente a Roma, non dovrebbe essere paragonata alle realtà più evolute o alle città come Parigi, o Londra o Vienna o Berlino perché quelle sono realtà nelle quali si  vive e si pensa in modo diverso. Dovrebbe essere paragonata a città del medio oriente, dell'Africa, dell'Est (dove comunque c'è voglia di riscossa, di fermento, di miglioramento). Di fronte a loro stiamo meglio. Ma non confrontiamoci con l'Europa oggi, perché a Parigi, o Londra o Vienna o Berlino c'è un'educazione civica che da noi è diventata sconosciuta, c'è un senso del rispetto delle regole che noi abbiamo perso, c'è un continuo richiamo al dovere ed un sistema di norme sociali che consentono alle nuove generazioni di progettare, di studiare, di credere nel merito, di vedere un futuro che qui da noi sembra evaporato, sembra essere scomparso. Il paese sta franando, e questo lo si dice da tanto tempo e non solo metaforicamente, come purtroppo sappiamo, ma non è neanche corretto dare la colpa generalizzata alla classe politica, perché la classe politica è lo specchio di come siamo noi, perché quella classe politica è stata votata, e che stia a destra o a sinistra, ad una larga parte della popolazione non interessa, basta che curi, persegua o mantenga gli interessi di lobby, corporazioni, enti, o singoli interessi. Ad esempio un lavoro, un posto, una raccomandazione, una perdita della dignità personale e sociale che non conosce freni.  Oppure peggio un'ideologia, una mistificazione, i fascisti e i comunisti, i cattolici e gli anticattolici, i buoni e i cattivi, e ancora qui posso scialare in citazioni: i famigerati "guelfi e ghibellini".  Oppure il "gattopardo": cambiare tutto per non cambiare niente. Ma siamo davvero così?

In questo quadro così fosco dove andiamo? Andiamo naturalmente verso una situazione disastrosa socialmente e, soprattutto, economicamente, tant'è vero che l'Europa, e non solo (ripeto) l'Europa, si preoccupa ed ha ragione a preoccuparsi perché l'Italia non è un paesetto secondario che anche se crolla o si distrugge socio-economicamente non fa niente. Non è vero e chi pensa questo sbaglia. Queste preoccupazioni hanno più fondamento, a mio avviso, di quelle per la Grecia. O della Spagna. L'Italia è un fondamento dell'Europa, è un paese che ha saputo essere faro, nel secolo scorso e non parliamo dei millenni precedenti, ha saputo essere esempio. E oggi non solo non siamo più esempio per nessuno, ma ci facciamo pure prendere in giro e dettare la linea, e dobbiamo pure dire che hanno ragione, perché è così.  E hanno ragione le varie entità internazionali a preoccuparsi per l'Italia. Perché l'Italia non è un paziente qualsiasi. C'è chi lo fa con sarcasmo e humour  tipicamente anglosassone (chi ha orecchi per intendere ha capito..) e ci prende in giro sul nostro governo, c'è chi invece cerca di smuoverci dal nostro torpore con richiami più o meno impellenti ed autorevoli, velati o chiari. C'è, infine, chi lo fa secondo le procedure burocratiche che ha imparato, come appunto la BCE che conosce solo quel linguaggio e quella grammatica, che ci dice che misure dobbiamo prendere, quante lacrime e sangue chiedere alla popolazione, come se fosse quello che alla fine risolve il nostro problema. Che è di mentalità purtroppo, e se non si cambia quella, sarà difficile qualsiasi manovra strutturale.

 

Dobbiamo tornare ad essere esempio, perché senza dubbio abbiamo tutte le risorse per farlo, per scuoterci dal torpore maligno nel quale giaciamo. Ma questo è un processo del quale, purtroppo, abbiamo scarsa, quando non nulla,  consapevolezza.


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