Teoria evoluzionistica

Di Giovanna Visini

Dalla materia alla vita

L’inizio del sistema solare e la formazione della Terra si fa risalire a circa 4,5-5 miliardi di anni fa. Durante il primo miliardo di anni che seguì, si costituirono progressivamente le condizioni per la comparsa della vita. La sfera infuocata di lava fusa era grande abbastanza per trattenere un’atmosfera e conteneva gli elementi chimici fondamentali per l’apparizione della vita. Inoltre la Terra si trovava alla distanza conveniente dal Sole, abbastanza lontana perché potesse iniziare il processo di raffreddamento e condensazione e tuttavia abbastanza vicina perché i gas non rimanessero congelati. Dopo 500.000 anni di raffreddamento graduale, il vapore che riempiva l’atmosfera condensò, così che per migliaia di anni caddero piogge torrenziali sulla Terra, piogge che formarono oceani poco profondi. Durante il periodo di raffreddamento, il carbonio, l’elemento chimico fondamentale della vita, si combinò rapidamente con idrogeno, ossigeno, azoto, zolfo e fosforo per generare una immensa varietà di composti chimici. Questi sei elementi sono oggi i costituenti chimici principali di tutti gli organismi viventi. 

Le ipotesi più recenti sull’origine della vita non postulano più eventi improvvisi particolari, come un fulmine di una potenza indescrivibile, o l’inseminazione da parte di macromolecole portate da meteoriti. La ricerca recente sui sistemi auto-organizzantesi  considera che l’ambiente che si era costituito sulla Terra in quei tempi lontani abbia favorito la formazione di molecole complesse, alcune delle quali divennero i catalizzatori di una serie di reazioni chimiche che portarono progressivamente alla formazione di strutture dissipative. Si tratta di concetti complessi che non ci interessa esplorare qui, anche se conoscerli è importante per rendersi conti degli sviluppi sorprendenti delle nuove scienze a cui ci siamo riferiti in generale come Teoria Evoluzionistica dei Sistemi. In questo caso si tratta dei sistemi viventi. La nozione di “strutture dissipative” si deve al chimico e fisico russo Ilya Prigogine, premio Nobel. Si tratta della più autorevole descrizione approfondita sui sistemi auto-organizzantesi, e l’auto-organizzazione è il concetto centrale della visione sistemica della vita. Il fenomeno dell’auto-organizzazione nei sistemi viventi fu studiato da molti ricercatori di diversi paesi, oltre a Prigogine: James Lovelock. Lynn Margulis, Humberto Maturana e Francisco Varela, per citarne alcuni. Prigogine sviluppò la termodinamica non lineare per descrivere il fenomeno dell’auto-organizzazione in sistemi aperti lontani dall’equilibrio, dove, come indica la nozione di “struttura dissipativa” esistono contemporaneamente sia la struttura e l’ordine da una parte, sia la “dissipazione” dell’energia, sprechi e perdite, dall’altra. Nella termodinamica classica, come abbiamo visto (cf. brano La grande Catena dell’essere), la dissipazione dell’energia sotto forma di trasmissione di calore, attrito, ecc. era sempre associata a una perdita.

Prigogine con il concetto di strutture dissipative mostrò che nei sistemi aperti (in cui cioè c’è un flusso costante di materia ed energia che attraversa il sistema; gli organismi viventi sono sistemi aperti lontani dall’equilibrio) la dissipazione diventa una fonte di ordine. Le strutture dissipative possono evolversi: quando cresce il flusso di energia e di materia che le attraversa esse possono passare per nuove fasi di instabilità e trasformarsi in nuove strutture di maggior complessità.

Le prime cellule, strutture dissipative auto-organizzantesi con membrana, apparvero circa 3,5 miliardi di anni fa. Erano i batteri (procarioti) Malgrado la precarietà delle condizioni di vita in un ambiente primordiale che cambiava continuamente, soggetto a catastrofi di tutti i tipi, tuttavia i batteri resistettero e si moltiplicarono prima nell’acqua e poi sul terreno. Una delle prime attività dei batteri fu la fermentazione, cioè la decomposizione di zuccheri per creare l’energia necessaria a tutti i processi cellulari. Questo procedimento permise ai batteri di vivere delle sostanze chimiche presenti nella terra e nell’acqua. Alcuni di questi batteri svilupparono un’altra capacità di grandissima importanza: assorbire azoto dall’aria e trasformarlo in vari composti organici. L’azoto è un componente delle proteine presenti in ogni cellula e tutti gli organismi viventi anche oggi dipendono per sopravvivere dai batteri che fissano l’azoto.

I batteri inventarono anche la fotosintesi che divenne allora la fonte primaria di energia a per la vita. La fotosintesi praticata dai batteri era molto diversa da quella dei vegetali attuali. Tutte queste strategie di sopravvivenza permisero ai batteri, non solo di vivere ed evolversi, ma anche di iniziare a modificare l’ambiente, mantenendo, attraverso i loro processi di regolazione, le condizioni adatte allo sviluppo della vita. I batteri si riproducono in modo asessuale, scambiandosi continuamente geni con i loro vicini. Come affermano Margulis e Sagan, nel loro libro Microcosmo, mentre gli esseri umani si trasmettono i geni in modo “verticale” da una generazione all’altra, le cellule batteriche lo fanno “orizzontalmente” tra vicini di una stessa generazione. Essi sono praticamente immortali da un punto di vista funzionale. Mentre per noi il sesso si coniuga inevitabilmente alla morte. Insomma i batteri furono veramente gli indispensabili pilastri e custodi della vita nascente.

 Un nuovo tipo di batteri inventò a un certo punto una nuova fotosintesi che era capace di estrarre l’idrogeno dall’acqua (estrarlo dall’aria, come facevano i batteri che avevano introdotto la fotosintesi usata ancora oggi dai vegetali, non era sufficiente), rilasciando ossigeno nell’aria. Questo ossigeno però divenne a un certo punto eccessivo. L’inquinamento da ossigeno produsse, circa 2 miliardi di anni fa, una catastrofe senza precedente e l’intera trama batterica dovette riorganizzarsi per poter sopravvivere.

La crisi dell’ossigeno innestò un processo evolutivo che portò all’apparizione dei cianobatteri che utilizzavano proprio l’ossigeno, la sostanza dannosa. Ma come? Attraverso la respirazione aerobica, che utilizza l’ossigeno. La vita fu per sempre modificata e così l’ambiente in cui evolversi. La quantità di ossigeno libero nell’atmosfera si stabilizzò al 21 per cento. Se questo valore scendesse sotto il 15 per cento niente brucerebbe e gli organismi non potrebbero respirare e morirebbero. Sopra il 25 per cento tutto brucerebbe. La combustione sarebbe spontanea e le fiamme divorerebbero la Terra. Da milioni di anni Gaia, l’ambiente dei procarioti, mantiene l’ossigeno nell’atmosfera alla quantità ideale per la vita delle piante e degli animali.

Per passare a forme superiori di vita fu necessaria la comparsa di un nuovo procedimento: la simbiosi. Questo avvenne circa 2,2 miliardi di anni or sono e portò all’evoluzione di cellule nucleate (eucarioti) , che sono i componenti di tutte le piante e di tutti gli animali. Queste cellule sono più grandi e più complesse rispetto ai batteri: la quantità di DNA che si trova nelle cellule nucleate è centinaia di volte superiore a quella che si trova nei batteri. L’ipotesi che viene fatta per spiegare la comparsa degli eucarioti, è che essa sia dovuta appunto al fenomeno della simbiosi: organismi separati si sarebbero amalgamati creando nuovi insiemi, con la caratteristica di tutti gli oloni: che il nuovo olone era qualcosa di più della somma delle parti.

 Nella cellula nucleata ci sono i mitocondri e altri organuli che sono organismi distinti. Secondo l’ipotesi citata, essi avrebbero potuto essere all’origine dei batteri  che avrebbero progressivamente imparato a cooperare con le cellule ospitanti. Grazie alle relazioni simbiotiche con i batteri, le cellule nucleate ricevettero la possibilità di muoversi: il fluido cellulare scorre in modo coerente e l’intera cellula può espandersi, contrarsi e muoversi rapidamente come un tutto.

L’ipotesi della simbiogenesi ( cioè l’ipotesi della creazione di nuove forme di vita attraverso la fusione di specie diverse) ha solo trent’anni. Essa spiega in modo convincente l’importanza dei vantaggi combinati delle relazioni simbiotiche che permettevano alle nuove forme di vita di utilizzare più volte diverse combinazioni di biotecnologie specializzate e già collaudate dai batteri, come l’uso efficiente della luce solare e dell’ossigeno nonché il movimento Questo rese possibile la migrazione in molti ambienti diversi e l’evoluzione nelle piante e negli animali prima nell’acqua e poi sulla terraferma.      

Piante ed animali

I primi animali si evolvettero circa 700 milioni di anni or sono, mentre troviamo i primi vegetali intorno ai 500 milioni di anni fa. Entrambi iniziarono la loro evoluzione nell’acqua e raggiunsero la terraferma circa 400-450 milioni di anni fa, prima i vegetali e dopo milioni di anni gli animali. Sia i vegetali che gli animali sono organismi pluricellulari di enormi dimensioni, ma rispetto a quelle vegetali, le cellule animali sono fortemente specializzate e strettamente connesse tra di loro da un gran numero  di legami complessi. La coordinazione e l’interconnessione delle cellule furono intensificate notevolmente dalla comparsa precoce di sistemi nervosi. L’evoluzione di piccoli cervelli animali viene fatta risalire a 620 milioni di anni fa.

I progenitori delle piante assomigliavano alle alghe che vivevano in acque poco profonde e illuminate dal sole. Il loro habitat però a volte si prosciugava e alla fine alcune alghe trovarono il modo di sopravvivere trasformandosi in piante. All’inizio quelle piante erano simili a muschi, non avevano né fusti né foglie, ma con la produzione di un nuovo materiale nelle pareti delle cellule, la lignina, fu possibile sviluppare fusti e rami, oltre che i sistemi vascolari per assorbire acqua dalle radici. Per resistere alla siccità che era una minaccia costante nel nuovo ambiente terrestre, le piante racchiusero i propri embrioni in semi che li proteggessero mentre aspettavano di trovare le appropriate condizioni di umidità per svilupparsi.

Durante un periodo che va dai 350 ai 250 milioni di anni fa, mentre i primi animali terrestri, cioè gli anfibi, si evolvevano in rettili e dinosauri, lussureggianti foreste tropicali di “felci con semi” ricoprirono estese regioni del pianeta. Quando, circa 200 milioni di anni fa si formarono i ghiacciai su molti continenti, le felci con semi furono soppiantate da conifere sempreverdi che potevano resistere al freddo. Circa 125 milioni di anni fa apparvero le prima piante con fiori, i cui semi erano racchiusi in frutti. Fin dall’inizio queste piante coevolvettero con animali che si cibavano dei loro frutti e disseminavano in cambio i semi non digeriti.

I primi animali si svilupparono nell’acqua da masse globulari e vermiformi di cellule. Il passaggio sulla terraferma fu un processo di adattamento molto complesso e di grandissima portata. C’era il problema della disidratazione, la quantità molto superiore di ossigeno gassoso nell’atmosfera che richiedeva organi di respirazione diversi, la luce solare non filtrata che rendeva necessari vari rivestimenti esterni, e poi per sopportare la forza di gravità in assenza della spinta idrostatica c’era bisogno di ossa e muscoli più forti.

Per facilitare questo passaggio dagli oceani alle nuove condizioni ambientali, gli animali ricorsero a un espediente molto ingegnoso: mantennero lo stesso ambiente acquoso per la loro prole. L’utero animale riproduce ancora oggi l’acquosità, la spinta idrostatica e la salinità dell’acqua originaria. Anche le concentrazioni saline nel sangue e in altri fluidi corporei dei mammiferi, come il sudore e le lacrime, sono assai simili a quelle dell’oceano. Di quell’oceano che è stato la nostra prima culla e che abbiamo abbandonato circa 400 milioni di anni fa, continuando a portarlo dentro di noi.

Un altro problema per il mantenimento della vita sulla terraferma era quello relativo alla regolazione del calcio, che ha un ruolo molto importante nel metabolismo delle cellule nucleate (eucarioti), i componenti fondamentali di tutte le piante e di tutti gli animali. Si richiedevano delle innovazioni creative. Infatti per mantenere efficiente il metabolismo delle cellule le quantità di calcio devono essere mantenute a dei valori precisi, molto inferiori a quelli presenti nell’acqua di mare. Così gli animali cominciarono ad accumulare il calcio in eccesso attorno e dentro i propri corpi, trasformandolo in gusci, conchiglie e scheletri.

Gli anfibi - rane, rospi, salamandre e tritoni - costituiscono l’anello di congiunzione evolutiva tra gli animali acquatici e terrestri. Anche i primi insetti raggiunsero la terraferma nello stesso periodo degli anfibi, cioè circa 400 milioni di anni or sono. Dopo il loro arrivo sulla terra, per un periodo di 150 milioni di anni, gli anfibi si evolvettero in rettili. I rettili, come avrebbero fatto anche i mammiferi, conservarono nelle loro grandi uova l’ambiente marino da cui provenivano, garantendo alla prole un luogo confortevole in cui formarsi e crescere. A quell’epoca, quando apparvero i rettili (250 milioni di anni fa) la terra era ricoperta di lussureggianti foreste tropicali.

 Oltre alle piante e agli animali, anche un altro tipo di organismo pluricellulare aveva raggiunto la riva, i funghi che, pur somigliando alle piante, sono invece completamente diversi e costituiscono un “regno” a parte. Essi comparvero più o meno 300 milioni di anni fa e coevolvettero con le piante, poiché queste ultime dipendono per l’assorbimento dell’azoto da un minuscolo fungo che sta nelle loro radici. Che i funghi siano visibili o nascosti, essi sono assolutamente essenziali per l’esistenza delle foreste.

Dopo trenta milioni di anni dalla comparsa dei rettili, da una loro linea di discendenza si svilupparono i dinosauri. Come tutti i rettili, essi deponevano uova, molti di essi si dotarono di ali finché, 150 milioni di anni fa, si evolvettero in uccelli. Circa 70 milioni di anni fa i dinosauri e molte altre specie si estinsero di colpo. Si pensa che la causa possa essere stata una catastrofe provocata dall’impatto di un meteorite gigantesco di circa undici chilometri di diametro. L’esplosione generò un’enorme nuvola di polvere che fece da schermo alla luce e al calore solare per un lungo periodo, la meteorologia del pianeta cambiò e i dinosauri non sopravvissero.

Dai rettili si evolvette, circa 200 milioni di anni fa, un vertebrato a sangue caldo, le cui femmine non racchiudevano più gli embrioni nelle uova, ma li nutrivano all’interno del loro corpo. I piccoli nascevano inermi e bisognosi di cure e di nutrimento ed erano le madri a occuparsene finché non diventavano autosufficienti. Queste caratteristiche che includevano anche l’allattamento, sono all’origine del nome dato agli animali di questa classe: i mammiferi. I primi mammiferi erano piccole creature notturne. A differenza dei rettili, svilupparono la capacità di mantenere il calore dei propri corpi a un livello abbastanza costante indipendentemente dalle condizioni ambientali, inoltre una parte delle loro cellule epidermiche si trasformò in pelo, fornendo un ulteriore isolamento termico che permise loro di migrare nelle zone con clima freddo.

Le proscimmie, che sono i primati più antichi, si evolvettero circa 65 milioni di anni fa da mammiferi notturni che vivevano sugli alberi, si cibavano di insetti e assomigliavano agli scoiattoli. I primati erano in gran parte insettivori o vegetariani e si cibavano di noci, frutti e piante. A volte quando non trovavano più cibi sufficiente sugli alberi, essi scendevano a terra e assumevano una posizione eretta per qualche momento, per poi tornare alla posizione iniziale, come fanno ancora oggi i babbuini. Ma questa capacità di poter rimanere in posizione eretta anche per poco tempo rappresentò un forte vantaggio selettivo, poiché quella posizione liberava le mani per raccogliere cibo, gettare pietre o afferrare bastoni per difendersi.

A poco a poco i piedi si appiattirono, l’abilità manuale si accrebbe e l’utilizzo di strumenti primitivi e di armi stimolò la crescita del cervello. Da alcune proscimmie si evolvettero le scimmie e le scimmie antropomorfe. La linea evolutiva delle scimmie si biforcò da quella delle proscimmie circa 35 milioni di anni fa. E circa 20 milioni di anni fa la linea delle scimmie antropomorfe (o pongidi) si distaccò da quella delle scimmie. E solo dopo altri 10 milioni di anni comparvero i nostri antenati più prossimi, le grandi scimmie antropomorfe, come orangutan, scimpanzé e gorilla.

Il cervello delle grandi scimmie antropomorfe è molto più complesso di quello delle altre scimmie ed essi possiedono perciò un’intelligenza molto superiore.

Fu nell’Africa tropicale, all’incirca 4 milioni di anni fa, che da una scimmia appartenente al genere degli scimpanzé si evolvette una scimmia antropomorfa dotata di stazione eretta. Questa specie, estintasi un milione di anni dopo, era assai simile agli altri grandi pongidi, ma poiché si reggeva eretta sugli arti posteriori  fu classificata come “ominide”.

Gli esseri umani

Le scimmie antropomorfe dotate di stazione eretta e andatura bipede, chiamate Australopithecus, fecero la loro comparsa 4 milioni di anni fa. Il nome che significa “scimmia australe” allude alle prime scoperte di resti fossili avvenute nell’Africa del Sud.

La specie più antica è l’ Australopithecus Afarensis, dal nome della regione etiopica di Afar, dove sono stati trovati degli importanti fossili, compreso il famoso scheletro di una femmina che i paleontologi denominarono “Lucy”, risalente a 3,2 milioni di anni fa. Si trattava di primati di corporatura esile, alti forse 140 centimetri e con un’intelligenza pari a quella degli attuali scimpanzé. Dai 4 ai 3 milioni di anni fa si ebbe una stabilità genetica degli australopitecini.

In seguito questa prima specie si evolvette in specie più robuste. Esse comprendevano due specie primitive del genere Homo (Homo habilis e Homo erectus) che coesistettero in Africa con gli australopitecini per molte migliaia di anni finché questi non si estinsero, circa 1,4 milioni di anni fa.

Una differenza fondamentale tra i primati e gli esseri umani consiste nel fatto che i neonati umani hanno bisogno di un tempo molto più lungo per raggiungere la fanciullezza (e poi la pubertà e la maturità) di quanto non sia necessario a qualsiasi scimmia antropomorfa. I neonati sono del tutto inermi e non formati completamente, hanno bisogno di anni di cure, protezione, sostentamento e attenzione. I neonati umani, se confrontati con i piccoli di altri mammiferi, sembrano nati prematuramente. E questa osservazione è alla base di una ipotesi ampiamente accettata (Margulis e Sagan) secondo cui sarebbero stati i parti prematuri di alcune scimmie a innestare l’evoluzione umana.

A causa di mutamente genetici nei tempi dello sviluppo, le scimmie antropomorfe nate prematuramente avrebbero potuto conservare i loro tratti infantili più a lungo delle altre. Coppie di individui con quelle caratteristiche avrebbero potuto generare neonati ancora più prematuri, che avrebbero conservato a loro volta tratti ancora più infantili. Avrebbe avuto inizio allora un andamento evolutivo da cui, alla fine, è emersa una specie completamente priva di peli. Questa ipotesi attribuisce una grande importanza alla fragilità dei piccoli nati prematuramente nella transizione dalle scimmie antropomorfe agli esseri umani. Questi neonati bisognosi di cure hanno richiesto la formazione di famiglie che potessero proteggerli, e queste famiglie hanno probabilmente formato comunità, tribù nomadi, villaggi che costituirono le basi per lo svilupparsi della civiltà umana (si tratta sempre di olarchie che nei Quadranti di Wilber costituiscono il Basso/Destra, cioè l’aspetto collettivo oggettivo, esterno dell’olone).

Secondo l’antropologa Helen Fisher (citata da Elisabeth Badinter nel suo libro L’uno e l’Altra) la posizione eretta provocò la ristrutturazione del bacino con conseguente accorciamento del diametro del canale genitale che rese i parti difficili e mortali per molte femmine. Attraverso la selezione naturale fecero la loro comparsa nuovi caratteri genetici. Le femmine partorivano prematuramente i figli, il cui cranio era più piccolo e quindi poteva più facilmente passare nel canale genitale. Ma questa prematurità implicava un impegno maggiore delle madri per mesi e anni. Dovevano portarsi appresso il bambino e così facevano più fatica a catturare piccoli animali e a raccogliere frutti e bacche. Era necessario concludere un contratto con i maschi, ci si avvia progressivamente verso le prime famiglie.

La selezione naturale favorì le specie che copulavano durante la maggior parte del loro ciclo mensile. Le femmine cominciarono a perdere il loro estro. La ricettività sessuale permanente e la copula frontale, poiché con la ristrutturazione dello scheletro avvenuta dopo l’assunzione della posizione eretta, anche la vagina aveva ruotato verso il davanti, permisero, sempre secondo la Fisher, il progressivo instaurarsi della relazione tra maschio e femmina e dell’amore.

Ma riprendiamo il filo che ci porta dagli australopiticini ai loro primi discendenti umani che apparvero in Africa Orientale circa 2 milioni di anni fa. Presentavano un grande aumento del volume encefalico, grazie al quale svilupparono una capacità di costruire utensili che nessun antenato pongide aveva avuto. Si tratta dell’Homo habilis, che si era evoluto verso 1,6 milioni di anni fa nell’Homo erectus, una specie più grande e robusta e il cui cervello si era accresciuto ulteriormente. Si pensa che questi antichi nostri progenitori fossero riusciti a controllare il fuoco 1,4 milioni di anni fa circa.

L’Homo erectus fu la prima specie a lasciare i tropici africani e a migrare in  Asia, Indonesia ed Europa, insediandosi in Asia circa 1 milione di anni fa e in Europa 700.000 anni fa. Questi primi esseri umani dovettero sopportare lontano dall’Africa natia, delle condizioni climatiche avverse che avrebbero avuto un impatto sull’evoluzione successiva. Infatti tutto il periodo dell’evoluzione propriamente umana, dalla comparsa dell’Homo habilis alla rivoluzione agricola del Neolitico di circa 1,5 milioni di anni dopo,  avviene durante l’epoca delle glaciazioni.

Durante i periodi più freddi, gran parte dell’Europa, dell’America e dell’Asia erano coperte di ghiaccio. Nelle epoche in cui il clima era più mite, si verificavano tremende inondazioni, provocate dallo scioglimento dei ghiacciai. Molte specie tropicali si estinsero e furono sostituite da altre più robuste e coperte da folti mantelli di pelo, come il bue muschiato, il mammut, il bisonte. I primi uomini davano la caccia a questi animali con punte di lancia e asce di pietra, mangiavano le loro carni attorno al fuoco nelle loro caverne e si proteggevano dal freddo con le loro pellicce. Cacciavano insieme e si spartivano il cibo. E la spartizione del cibo contribuì anch’essa a promuovere lo sviluppo della cultura e della civiltà, fino a portare all’espressione della dimensione spirituale e artistica proprie dell’essere umano.

L’Homo sapiens si evolve dall’Homo erectus tra 400.000 e 250.000 anni fa. L’Homo sapiens è la specie a cui noi apparteniamo. L’evoluzione fu graduale e durante  150.000 anni diede vita a molte specie di transizione, cui viene dato il nome generico di Homo sapiens arcaico. L’homo erectus  250.000 anni fa era ormai estinto. La transizione a Homo sapiens si completò circa 100.000 anni fa  in Africa e in Asia e 35.000 anni fa in Europa.

Mentre avveniva la graduale evoluzione dell’Homo erectus in Homo Sapiens, in Europa avvenne il distacco di un ceppo distinto da cui si evolvette, circa 125.000 anni fa, l’uomo di Neandertal, così chiamato dalla località in Germania dove furono trovati i primi esemplari. Si estinse 35.000 anni fa. Aveva una corporatura tozza e massiccia, con ossa grosse, mascelle possenti, denti anteriori lunghi e sporgenti. Si stabilì in Europa e nel Vicino Oriente lasciando tracce di sepolture rituali in caverne decorate con veri simboli legati agli animali cui dava la caccia.

Dopo l’estinzione dell’uomo di Neandertal, rimane soltanto l’Homo Sapiens come specie umana vivente. Questa specie si evolvette in Europa in una sottospecie nota con il nome di Cro-Magnon, che è il nome di una caverna al Sud della Francia. Ad essa appartengono tutti gli esseri umani attuali. I Cro-Magnon erano identici a noi, avevano un linguaggio sviluppato e produssero una incredibile quantità di innovazioni tecnologiche e di creazioni artistiche. Di essi ci sono rimasti utensili di pietra e di osso finemente lavorati, gioielli fatti di conchiglie e di avorio, magnifiche pitture sulle pareti delle caverne, a testimoniare la cultura raffinata di questi nostri diretti antenati paleolitici.

 Nel 1994 fu scoperta la caverna di Chauvet nel distretto di Ardèche, nel sud della Francia. I paleontologi rimasero a bocca aperta: la grotta è formata da un labirinto di camere sotterranee ricoperte da più di trecento dipinti di magnifica fattura ed essi risalgono a 30.000 anni fa. Dunque di molto anteriori ai famosi dipinti di Lascaux, datati 16.000 anni fa, considerati fino ad allora dagli studiosi come l’espressione più alta raggiunta dall’arte Cro-Magnon. Gli scienziati hanno dovuto rivedere le loro teorie.

Per dipingere le figure, che rappresentano immagini simboliche di leoni, mammut e altri animali feroci, sono stati utilizzati ocra, carbone ed ematite. Vi erano anche molti oggetti rituali, fra cui spicca una specie di altare su cui era posato un teschio d’orso. E inoltre una raffigurazione riproduce una figura sciamanica, mezzo uomo e mezzo bisonte, disegnata nella parte più oscura e inaccessibile della caverna. Questi dipinti così antichi, risalenti a un’epoca preistorica, indicano che la spiritualità e la creatività artistica furono fin dall’inizio parte integrante dell’evoluzione dell’essere umano.

Ci siamo dilungati su questo affascinante viaggio evolutivo che dalle prime cellule batteriche apparse circa 3,5 miliardi di anni fa, alle prime cellule nucleate (2,2 miliardi di anni fa), ai primi animali (700 milioni di anni fa), ai primi vegetali (450 milioni di anni fa) fino alle proscimmie (65 milioni di anni fa), all’Homo habilis (2 milioni di anni fa), all’Homo sapiens (a partire da 400.000 anni fa) e al Cro-Magnon in Europa perché è importante, a nostro avviso, tenere presente o ricordarsi di tutta la storia che ci precede. Ci rendiamo allora conto facilmente della coevoluzione del micro e del macrocosmo, ci è anche più facile intendere questa immediata e sempre presente coesistenza dei quattro aspetti dell’olone di cui ci parla Wilber:  interiorità (livello di coscienza individuale e visioni del mondo collettive) ed esteriorità (condizioni ambientali, sociali, economiche a livello collettivo, e caratteristiche delle strutture fisiche e biologiche, dei sistemi nervosi  e del cervello a livello individuale).

Il cervello uno e trino

La sequenza olarchica presentata nel Quadrante Alto/Destra (vedi brano La grande Catena dell’Essere) mostra l’evoluzione dagli oloni individuali dagli atomi alle cellule, agli organismi multicellulari, agli animali complessi. Ma anche il cervello si è evoluto: dal rettile, al mammifero, al primate e all’essere umano e si tratta di oloni ordinati gerarchicamente, dal meno complesso al più complesso. A a ogni tappa evolutiva dei vari strati cerebrali (Alto/Destra) corrisponde un diverso livello di coscienza  (Alto/Sinistra), il dispiegamento di una diversa visione del mondo e comprensione del mondo (Basso/Sinistra) nonché lo sviluppo delle strutture per la sopravvivenza e il  sostentamento a livello produttivo, sociale, economico, tecnologico (Basso/Destra).

Il neurobiologo Paul MacLean è lo studioso che ha disegnato la mappa del cervello conosciuto come “uno e trino”. La parte più antiche che somiglia al gambo di un fungo e sulla quale poggia il resto del cervello è responsabile delle reazioni istintive. MacLean lo chiama “rettiliano” perché è molto simile strutturalmente al cervello di un rettile. E’ un cervello molto primitivo che “ha fede in ciò che dice l’antenato”, ma non sa affrontare le situazioni nuove perché il suo comportamento è un riflesso con pochissima autonomia. Contiene l’apparato essenziale per la regolazione interna, viscerale e ghiandolare, e anche i centri per mantenersi svegli o dormire.

Sopra questo cervello ancestrale è collocato il cervello che abbiamo in comune con gatti e topi, cioè il paleomammifero. La parte principale di questo secondo strato è il sistema limbico, un insieme di strutture che generano le emozioni del dolore e del piacere, essenziali per la sopravvivenza. Se i bisogni di sopravvivenza vengono frustrati, emergerà la rabbia, la paura, il dolore, se invece vengono soddisfatti si proverà piacere. Il sistema limbico umano è strutturato in modo molto più complesso rispetto a quello dei paleomammiferi, ma l’organizzazione basica, la chimica ecc., sono molto simili. Il sistema limbico è collegato grazie  a canali di comunicazione a doppio senso con l’ipotalamo e altri centri nel gambo cerebrale, implicati nelle sensazioni viscerali e nelle reazioni emotive, includendo il sesso, la fame, la paura e l’aggressività.

L’ultimo strato, il terzo cervello, è la neocorteccia, dall’aspetto di gheriglio di noce, che conferisce significato agli eventi della vita. Il fisico austriaco E. Jantsch parla della sorprendente  crescita della neocorteccia come un evento tra i più drammatici della storia della vita sulla Terra. Con la neocorteccia appaiono le immagini simboliche, la logica e anche la matematica. Essa è la sede della mente auto-riflessiva.  MacLean stesso riconosce che ognuno di questi cervelli è un olone che trascende e include i precedenti, quindi organizzato gerarchicamente dal meno complesso al più complesso. Questi cervelli interagiscono secondo il principio dell’influenza verso il basso e verso l’alto (vedi il principio 5 nel brano citato).  

Questo cervello ha almeno 35.000 anni, cioè durante questo periodo non si è più modificato, non vi è stata alcuna evoluzione a livello biologico. L’Uomo del Paleolitico, l’ Homo sapiens, somiglia terribilmente a noi. E allora cosa è avvenuto durante questo periodo di millenni, che a noi sembra lunghissimo e che non è altro che un breve attimo per l’evoluzione? Niente più e niente meno che tutta la Preistoria e tutta la storia dell’umanità. In effetti quello che è successo è il passaggio dall’evoluzione biologica alla evoluzione della noosfera, che si fonda sulla biosfera, ma non può essere ridotta ad essa. La noosfera, la mente che pensa, che è consapevole di se stessa contiene la biosfera e la trascende.

L’olone inferiore ha preparato le possibilità per l’evoluzione nell’olone superiore. Queste possibilità (niente infatti è determinato) si dispiegano ora nella noosfera, regno del pensiero, dei simboli, della cultura.

Mente e repressione

Con la comparsa dell’Homo Sapiens e della neocorteccia cerebrale inizia lo sviluppo della storia psicologica e socioculturale dell’essere umano. E come la fisiosfera e la biosfera anche la noosfera si è evoluta. Vari stadi di sviluppo linguistico, politico, economico, sociale, artistico, culturale emersero progressivamente, incorporando e trascendendo i predecessori.  Come abbiamo visto, però, maggiore differenziazione e trascendenza implicano la possibilità che la differenziazione si trasformi in dissociazione e la trascendenza in repressione. E’ la storia gravida di problemi e sofferenze di cui si è occupata la psicoanalisi. Quando, per esempio mi differenzio dall’istinto sessuale biologico, non ne sono più dominato come gli animali. Sono più libero, ma anche più libero di dissociarlo e reprimerlo se interviene un Super-Io che giudica e condanna il sesso. Quando l’evoluzione produce una nuova differenziazione e quella differenziazione non è integrata, ne risulta una situazione patologica.

Ci sono due modi per affrontare la dissociazione e la repressione. Il modo utilizzato nelle psicoterapie è “la regressione al servizio dell’io” come è stata definita da Freud. Cioè la struttura più elevata regredisce al livello precedente dove l’integrazione non è avvenuta, rivive l’episodio e, in un contesto protetto e benevolo, scioglie il blocco o il trauma, quindi integra quel livello più o meno inconscio nell’olone più elevato dell’ego. Si tratta dunque di una regressione a favore di una più alta integrazione.

L’altro modo è quello dei Romantici che auspicano un ritorno al passato tout-court. Poiché confondono differenziazione e dissociazione, trascendenza e repressione i Romantici quando incontrano qualche problema di dissociazione, invece di proporre una soluzione per quel problema, vogliono un ritorno all’indietro della Storia. Pensiamo alle critiche dei Romantici, per esempio Rousseau o Goethe, alla società prodotta dalla Rivoluzione Industriale e dal Razionalismo Illuminista. Analizzando giustamente le repressioni e le alienazione prodotte dalle macchine, fanno l’elogio del tempo passato dove si trova il paradiso perduto, del buon selvaggio e delle società primitive.

I Romantici di oggi sono quelli che propongono un ritorno alla tribù dei cacciatori-raccoglitori e l’adorazione del fallo, oppure il ritorno al Neolitico e ai  miti dei Iside e Demetra, la Dea Madre. Insomma regressione. In realtà ogni trasformazione evolutiva sia nella storia dell’essere umano individuale che nella storia dell’umanità collettiva implica la possibilità del sorgere di patologie. Più complessa è il livello evolutivo più numerose possono essere le patologie. Nell’essere umano che contiene molte livelli di profondità (la materia, la vita e la mente) qualcosa può andare storto a ogni livello sia esso fisico, emotivo, mentale/psichico e anche spirituale, poiché ci sono anche le patologie spirituali.

Interno e esterno

Questo sintetico excursus sull’evoluzione della vita ci ha fornito informazioni sufficiente per comprendere il senso generale dei vari livelli verticali presenti nei vari Quadranti. Ci permette inoltre di riconquistare quella visione d’insieme e “sistemica” della storia dell’Universo, dell’Umanità e nostra personale che è andata smarrita da almeno tre secoli. Ci permette di reintrodurre il senso, i valori, l’intenzionalità, la profondità, la qualità nella nostra vita e nel mondo che ne sono privi, a causa della frammentazione del sapere specialistico, del riduzionismo scientifico che ha negato l’interiorità, la profondità, la coscienza e ha appiattito il mondo considerando valido oggetto di indagine solo il dato empirico, il “Ciò”, tralasciando completamente l’ “Io” e il “Noi”. Il mondo del “Ciò” e quella che Wilber chiama flatland, il mondo senza spessore, senza coscienza, senza spirito.


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