Quel giorno che il Papa cambiò nome

Nel X secolo, in omaggio a Roma, la tradizione muta. Storia dei rapporti con la città

Giovedì 31 ottobre 2002 il sindaco Veltroni ha conferito in Vaticano la cittadinanza romana al Papa. Giovedì scorso, 14 novembre, Giovanni Paolo II è andato in Parlamento e ha parlato per la prima volta a senatori e a deputati della Repubblica riuniti. Due "attraversamenti del Tevere", nei due sensi, in pochi giorni. E' l'occasione per ripercorrere la storia del rapporto fra i papi e la città di Roma. Il primo Vescovo di Roma, come è noto, è Pietro, principe degli Apostoli, e i suoi successori rivendicano sempre la loro "primazia" sulle altre chiese, anche se nei secoli paleocristiani la storia della Chiesa romana è una storia clandestina, tanto per gli edifici quanto per i fedeli e i loro pastori. Soltanto all'inizio del quarto secolo d.C., con l'editto costantiniano di tolleranza, comincia una concreta visibilità degli edifici ecclesiali e delle istituzioni ecclesiastiche. Ma il primato romano non è riconosciuto dalle tre grandi chiese orientali: Alessandria, Antiochia e Bisanzio o Costantinopoli; anzi quest'ultima lo contesta apertamente, in quanto sede del potere imperiale. L'abbandono definitivo di Roma da parte dell'imperatore e dei vari organi del potere lascia spazio in città alla crescita del potere delle grandi famiglie dell'aristocrazia fondiario-senatoria e soprattutto del Vescovo di Roma, tanto più che la chiesa di Roma sta diventando una grande potenza economica. Adesso si avvia una prima trasmigrazione di intere famiglie aristocratiche dalla religione tradizionale a quella cristiana. Così dalla metà del quarto secolo d.C. la comunità cristiana "non è più minoritaria" e il vecovo può costruire nuove basiliche sempre fuori dell'area monumentale dei fori. Damaso (366-384 d.C.) esalta il nuovo ruolo cristiano di Roma che sostituisce l'antico ruolo di capitale dell'impero e afferma il primato della Chiesa romana su tutta la Cristianità; contemporaneamente finisce del tutto la tolleranza verso la religione tradizionale (detta, con spregio, "pagana") con l'abolizione dei suoi riti e la chiusura dei suoi tempi.

Nella classica accelerazione dei tempi della storia, a cavallo del quarto-quinto secolo d.C. arriva una conclusione e si manifestano più fenomeni di grande portata e di lunga durata: 1) la "romanizzazione" del Cristianesimo, che perde molti connotati ebraico-orientali; 2) la "cristianizzazione" di Roma, con la croce che occupa simbolicamente lo spazio urbano, rispettando ancora le caratteristiche tradizionali dell'antico centro monumentale; 3) l'aristocrazia fondiario-senatoria si trasferisce in massa dalle strutture statali nelle strutture della chiesa di Roma e continua a gestire i poteri urbani; 4) il vescovo di Roma, Siricio (384-398 d.C.), rivendica il diritto esclusivo all'uso dell'appellativo "Papa", in quanto patriarca dell'Occidente cristiano e capo della Chiesa Cattolica o Universale.

Nel quinto e sesto secolo d.C. cresce concretamente il potere economico politico del vescovo di Roma, l'unico in grado di rifornire la popolazione romana e di mantenere guarnigioni bizantine, tanto che nel 527 d.C. per la prima volta nell'ambito della zona dei Fori nasce una basilica cristiana, quella dei Santi Cosma e Damiano. A cavallo del sesto settimo secolo Gregorio Magno (590-604 d.C.) guida il passaggio definitivo dalla città tardo antica alla città "cristiana" poi alla metà dell'ottavo secolo il crollo dell'egemonia bizantina legittima il potere effettivo dei vescovi di Roma, che avviano un processo plurisecolare per la lenta creazione d'un dominio temporale che da Roma si allarga al territorio circostante e alle regioni centrali italiane.

Fino al secolo decimo d.C. soltanto qualche Papa aveva cambiato nome al momento dell'elezione per motivi personali. Alla fine del decimo secolo Bruno di Carinzia, di nomina imperiale, è sicuramente il primo eletto che cambia nome per un preciso motivo politico; diventa così Gregorio V (996-999 d.C.). Da adesso in poi per tutto il secondo millennio d.C. i nuovi eletti cambiano nome di qualsiasi nazionalità siano. è una tradizione obbligatoria per manifestare simbolicamente il loro nuovo radicamento nella realtà romana, dove è usuale l'incontro del localismo con l'universalismo. Questo perché a Roma la tradizione non è immobile, ma è la lenta stratificazione di nuovi elementi che siano compatibili con i precedenti.

Alla fine dell'undicesimo secolo con Gregorio VII il papato diventa una monarchia assoluta, temperata soltanto dall'elezione di candidati in tarda età. Mentre si restringe la lista dei nomi papali (che manifestano il proprio schieramento nel collegio cardinalizio o "riprendono" il nome del Papa da cui il nuovo eletto era stato "creato" cardinale) e si prolunga l'elenco dei numerosi Clemente, Giovanni, Gregorio, Innocenzo, Leone, Paolo, Pio eccetera.

Soltanto verso la fine del secondo millennio nasce il nuovo uso di accomunare due nomi (Giovanni e Paolo), per rivendicare la duplice ascendenza da due illustri predecessori che avevano lavorato per il Concilio vaticano secondo. Il Pontefice dal 1870 non è più il sovrano-pontefice (cioè il "Papa re") e non ha più i romani tra i suoi sudditi, ma è pur sempre il Sommo romano pontefice e la cittadinanza romana per lui ha un valore esornativo, forse affettivo, come segno di riverenza da parte dei suoi non più sudditi ma ancora figli.

(fonte: Corriere della Sera, Mario Sanfilippo, 2002)