Luciano Giustini ragionamenti a lettere..

Social Blog

Interessante post di Giuseppe Granieri sulla funzione dei blog sociali, che si può riassumere, mi perdonerà Giuseppe se io utilizzo questi strumenti di tortura di un post, in 3 punti di quella che emerge come un’anomalia italiana:
1. In Italia non abbiamo gente di peso che usa i blog.
2. Poche idee in circolo e tendenza (inneggiata da alcuni) al “cazzeggio”
3. Cattiva stampa: sui grandi media i weblog escono poco e male.
Il ragionamento peraltro trae spunto da un appello per avere un’idea della “democrazia emergente” in Europa.
Non si può non essere d’accordo, almeno sui punti 2 e 3.
In effetti l’idea che se ne trae, anche dalla mia esperienza, è che altrove la funzione dei weblog l’hanno presa più sul serio, che da noi. La blogosfera italiana dà l’impressione di essere arroccata su posizioni di retroguardia frammiste al “cazzeggio”, appunto, che se in alcuni casi portano ad una riflessione veloce, guizzante, spesso sarcastica e godibile sugli avvenimenti italiani, dall’altra – talvolta – impediscono la riflessione più corposa, intensa, e soprattutto corale (oserei dire plurale) sulla situazione sociale: l’esempio, pur interessante, di Macchianera in tal senso è lampante.
Nei commenti al post, scrivevo tra l’altro che una delle concause di questo fenomeno è, a mio avviso, il forte “individualismo” che contraddistingue l’italiano “medio” e che si ravvisa anche nel contesto dei blog: la riflessioni sui temi sociali si preferisce farla a “casa propria” piuttosto che altrove con il “rischio” di essere trattati male (ahi, il confronto..).
Sul primo punto, invece, mi trovo un po’ in disaccordo. Giuseppe scrive:

Il mondo accademico (a parte pochi illuminati casi) non ha ancora compreso lo strumento nè le sue potenzialità. Nel migliore dei casi alcuni weblog vengono letti, ma tutto finisce lì. L’Università non condivide il suo pensiero e la sua ricerca.

Le “classificazioni per forza”, come “l’ambiente universitario non produce blog” sono a mio avviso da evitare. La “cultura” universitaria è ovviamente portata alla condivisione non solo del sapere, come sarebbe ovvio, ma anzi proprio delle opinioni. Ed è naturale: in un ambito dove si è portati a ragionare sulle cose e sul loro contesto, sul perché e sul come, sarebbe strano il contrario. Forse, quindi, questo è in realtà un falso problema.
Un problema reale, casomai, potrebbe risiedere nella mai abbastanza deprecata “teoria delle due culture”: la cultura umanistica/filosofica da una parte e la cultura scientifica dall’altra. Premettendo che io faccio parte della seconda, mi piacerebbe riuscire a dimostrare l’inconsistenza di questa teoria: nell’ambiente universitario una tesi spesso adottata è che la persona “valida” da un punto di vista semiologico e sociologico è soltanto quella che riesce, nella maniera ovviamente più profonda possibile, a padroneggiare una sola delle “culture”, ed in genere è la prima. Viceversa, nell’ambito scientifico talvolta si tende a credere che gli umanisti, i letterati, i filosofi, dovrebbero discettare delle cose loro ma non di cose più “importanti” come la scienza.
Per carità, sono convinto che uno “specializzato” in qualche materia sia persona tra le più degne di dire la sua su qualsiasi tema, abituato – com’è – a ragionar su quelli suoi, ma ritengo, altresì, che è proprio dall’unione delle competenze e delle discipline più distanti che nasce la vera “Cultura” quella con la C maiuscola. Il letterato dovrà imparare a capire cosa succede nella Fisica che lo circonda, magari ad un livello “base”, e l’ingegnere farà bene a leggere quella Storia d’Italia che fa la polvere sulla sua libreria. Il filosofo dovrà accendere il computer ed impararlo ad usare da solo, ed a “capire” cosa fa, non ad accettare passivamente che la tecnologia lo domini e lo sorprenda (negativamente, magari). Il matematico dovrà passare qualche ora del suo tempo a discettare di teologia, ed a osservare che la religione non è una materia per ignoranti, ma anzi nasconde al suo interno modelli di complessità affascinanti. E così via, potrei continuare a tediarvi per ore su queste cose. Mi verrebe da dire: quale posto migliore dei weblog tutto questo?
So già, però, che quasi nessuno concorderà con me. Tutti diranno: si, è vero, ma in realtà a me interessa la mia materia (stavo per scrivere “il mio orticello”) e non ho tempo/voglia di impegnarmi in altro. Qualcun altro dirà che si ragiona “a voce” e non su un computer, rendendo ad un tratto incoerente il paradigma per cui proprio la riflessione a volte trova il suo arricchimento maggiore nella struttura interconnessa e della rete. Qualcuno, infine, penserà: “a che mi serve”, compiendo così il ciclo completo: avrà destituito la cultura multidisciplinare di funzione. Quel qualcuno dirà: “a che serve” avere conoscenze su più fronti? Forse a guadagnare di più? No, non credo. Ad avere più clienti? Mmh, neanche. A trovare una compagna/moglie/marito carina/o, premurosa e gentile? No, tendenzialmente no. Ecco, non serve a niente! Dirà quel qualcuno. Senza pensare che, in quel momento, gli sarebbe servito senz’altro saper vedere un problema da diversi punti di vista. 🙂

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