CHE COS’È LA VERITÀ?

Ovvero:

Come trasformare un cumulo di sciocchezze in una verità assoluta da difendere contro la censura

Di Don Raffaele Celentano

 

Non nego che la pedofilia sia una vergogna mondiale e che sia presente all’interno della categoria dei preti, come d’altronde in tante altre categorie (certamente, però, non più in quella che in queste: leggi qui). Chi mostra di scandalizzarsi di fronte alle statistiche o è un ipocrita oppure è un illuso: l’uomo è fatto di fango e fatica a resistere alla tentazione di tornare a rivoltarsi in esso. Condivido in pieno, perciò, l’affermazione di Mons. Fisichella nel corso della trasmissione Anno Zero del 31 maggio: mi vergogno per questi membri della Chiesa che con il loro comportamento ne sporcano il volto; ma non mi vergogno della Chiesa né di appartenere ad essa. Resta sempre vero ciò che affermava il Concilio Vaticano II: la Chiesa è santa e pur sempre bisognosa di purificazione. Forse anche queste tristi vicende sono altrettante occasioni di purificazione.

Ma nonostante ciò, non possiamo accettare che si calpesti la verità in un modo così sfacciato come è stato fatto in questi ultimi tempi con e a seguito di un filmato inglese del 2006 prodotto dalla BBC, dal titolo dirompente Sex crimes and the Vatican (Crimini sessuali e Vaticano), messo in rete con i sottotitoli in italiano. Che fosse una grossa “bufala” lo si sapeva e lo si sarebbe potuto accertare anche prima, se solo si fosse voluto fare qualche piccola indagine. Ma a qualcuno non è sembrato vero di poter scatenare una novella “caccia alle streghe”, contando sul fatto che attraverso Internet chi non vuol sentire l’altra campana può tranquillamente ignorarla, continuando a crogiolarsi nei suoi pregiudizi, alimentati da chi ha tutto l’interesse ad inculcare odio verso l’istituzione Chiesa. Perché è chiaro: non sono quei poveri disgraziati di preti pedofili il vero oggetto di questo tour de force mediatico messo in piedi intorno a quel video; il vero scopo è di insinuare l’idea che la Chiesa è un covo di malfattori, a cominciare dal suo capo. E tanti interventi isterici che si continuano a leggere sui blog, come se da tante parti non fossero piovute smentite ben documentate, stanno proprio ad indicare che la strategia va a buon fine: l’odio verso la Chiesa e i preti monta costantemente, alla faccia della verità, che viene tenuta ben lontana da quelle pagine che tanto si sono affannate a soffiare sul fuoco, partendo da un cumulo di sciocchezze che però avevano l’effetto di un pugno nello stomaco.

Bella invenzione Internet. Ma nelle mani di malintenzionati può diventare un’arma terribile, contro la quale non c’è difesa, perché si può far vedere (e cercare) solo ciò che fa comodo. Ci sono in giro molti Orlando, il cui cervello se n’è andato in vacanza sulla Luna…

Ma la Verità non si può nascondere a lungo. E quindi va detta comunque, nonostante si sappia che per il momento non arriverà a coloro che continuano a sputare veleno. L’importante è dirla, pacatamente, ma a chiare lettere.

 

LA VERITÀ SUI DOCUMENTI

 

L’elemento più rilevante del filmato “Sex crimes and the Vatican” è l’accusa in esso contenuta che il Cardinale Joseph Ratzinger in vent’anni ha protetto o coperto i preti pedofili imponendo a tutti il silenzio con la minaccia della scomunica, e ciò in forza di un documento “segreto” del 1962, l’istruzione Crimen sollicitationis, e delle successive “modifiche” del 2001, in particolare la lettera della Congregazione per la dottrina della fede De delictis gravioribus, che inizia con le parole Ad exequendam.

Posto che primo responsabile degli effetti di un documento normativo è colui che lo emana, dovrebbe essere ormai sufficientemente dimostrato che con quella istruzione del 1962 Ratzinger non c’entrava niente: a quell’epoca egli era in tutt’altre faccende affaccendato. La Crimen sollicitationis era firmata dal cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio. Sembra essersene convinto anche Michele Santoro che nella trasmissione del 31 maggio non ha fatto cenno a questa “accusa”, che però era ben presente nel filmato.

Ma si può ritenere altrettanto responsabile colui che, richiamandosi a quel documento, ne emana un altro che ne proroga o aggrava le disposizioni, ammesso e non concesso che questo sia vero e che sia il vero scopo che ci si prefiggeva. In tal caso bisognerebbe chiamare in causa colui che ha emanato la lettera apostolica in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (30 aprile 2001). Anche in questa ipotesi, però, si sarebbe sbagliato bersaglio: quel documento era firmato da Giovanni Paolo II.

In terza battuta possiamo ritenere responsabile colui che ha precisato le modalità di attuazione di questo secondo documento, emanando, il 18 maggio 2001, la lettera De delictis gravioribus. E in tal caso il responsabile sarebbe proprio Joseph Ratzinger, all’epoca Cardinale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, poi Papa Benedetto XVI.

Gli addebiti mossi al suddetto illustre personaggio sarebbero dovuti, quindi, solo al fatto che ha firmato questo terzo documento, collegato al secondo, il quale a sua volta sarebbe “la seconda parte” o “il seguito” – come viene definito nel filmato – della Crimen sollicitationis.

Nell’intento di verificare quanto queste accuse siano fondate, diamo un’occhiata a tutti e tre questi documenti.

 

L’istruzione Crimen sollicitationis

 

Il titolo ci dice che è una «Istruzione sul modo di procedere nelle cause di crimine di istigazione»; il termine latino “sollicitatio” viene tradotto altrove con sollecitazione o provocazione; ritengo che “istigazione” renda, però, meglio il senso vero del crimine specifico che – giova ricordarlo – non ha niente a che fare con la pedofilia, come vedremo meglio più avanti.

Il testo latino del documento in formato PDF è disponibile qui. Il filmato sembra far riferimento ad una traduzione in inglese; sarebbe forse più facile leggerla, ma – se permettete – date le premesse, preferisco il testo originale.

Questa istruzione, emanata dal Sant’Uffizio nel 1962 (regnante Giovanni XXIII, quindi sotto la sua autorità, come vedremo in seguito, e quindi con forza di legge), fu inviata «a tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e altri ordinari dei luoghi, anche di rito orientale» - vale a dire a tutti coloro cui competeva istruire i processi oggetto dell’istruzione – con l’indicazione di conservarla diligentemente nell’archivio segreto della curia per uso interno e con la proibizione di pubblicarla o di inserirla in qualsiasi commentario; ciò vuol dire semplicemente che era un documento riservato, non segreto, visto che fu stampato dalla Tipografia Poliglotta Vaticana (come risulta dal frontespizio).

La maggior parte del testo (70 commi su 74) è dedicata al crimine di istigazione, cioè a quel crimine che il sacerdote commette con qualunque penitente quando nel corso della confessione, o in qualsiasi circostanza ad essa collegata, in qualsiasi modo cerca di istigare il/la penitente a commettere con lui un peccato contro il sesto comandamento (n.1: questa, come le altre citazioni dei documenti, a meno che non sia espressamente indicato, sono solo sintesi del contenuto, non traduzioni integrali). Occuparsi di questo crimine spetta in prima istanza agli Ordinari dei luoghi nel cui territorio si è compiuto il crimine; in casi particolari e per gravi motivi esso deve essere sottoposto alla Congregazione del Sant’Uffizio (n. 2).

Il documento disponibile in rete si compone di 54 pagine, di cui 29 occupate da un’appendice che riporta i formulari utili o richiesti dalle varie fasi del procedimento; le prime 25 pagine contengono il frontespizio e tutta la normativa in merito; quest’ultima è suddivisa in una premessa e cinque capitoli (o titoli).

 

La premessa (Praeliminaria, nn. 1-14), oltre i primi due numeri di cui ho già detto, contiene le norme da seguire per istruire il processo. In particolare si stabilisce che questa materia dev’essere trattata con la massima riservatezza, e tutti coloro che sono coinvolti nella causa devono prestare giuramento in tal senso, sotto pena di scomunica latae sententiae riservata al Papa, esclusa anche la Penitenzieria Apostolica (vale a dire che la scomunica colpisce nel momento stesso in cui si viene meno al giuramento, senza bisogno di dichiarazione da parte dell’autorità, e che solo il Papa può toglierla). È la più grave delle censure che può essere comminata ad un membro della Chiesa; per i chierici (diaconi, preti e vescovi) c’è anche la sospensione a divinis e la riduzione allo stato laicale (una sorta di degradazione).

A cosa si riferisce il silenzio che viene richiesto ed imposto sotto pena di scomunica? A tutto ciò di cui gli “attori” del processo (giudici, notai, avvocati, testimoni, accusato, eccetera) venissero a conoscenza nel corso del procedimento. Il giuramento non impone a nessuno di tacere sul crimine in sé: solo sugli atti e i fatti del processo. Questo appare abbastanza evidente leggendo il documento; ma è in latino e non tutti conoscono il latino; a questi qualcuno potrebbe aver raccontato delle frottole che si sono bevute acriticamente.

 

Il “titolo primo” (“La prima notizia del crimine”, nn. 15-28) tratta della raccolta delle notizie relative al crimine. Alcuni numeri di questa sezione sono molto interessanti ai fini del tanto dibattuto problema del presunto occultamento del crimine e della altrettanto presunta protezione del reo; sarebbe troppo lungo tradurli ed esaminarli tutti, ma una riflessione particolare meritano i nn. 15-19 (la traduzione italiana integrale è disponibile qui).

In essi si stabilisce che, per evitare che questo crimine rimanga nascosto e impunito, occorre sollecitare tutti coloro che ne siano venuti a conoscenza a rivelarlo (n. 15); pertanto si dispone che il penitente vittima del crimine e chiunque venga a conoscenza di esso devono denunziare il colpevole entro un mese, sotto pena di scomunica, che può essere assolta solo dopo aver soddisfatto l’obbligo oppure dopo aver seriamente promesso di farlo (nn. 16-18) .

Il confessore al quale la vittima confidi la cosa, ha il grave obbligo di coscienza di ammonire il penitente circa questo suo dovere (n. 16). Questo vuol dire che il confessore al quale il penitente abbia rivelato di aver subito un abuso non può parlarne, perché vincolato dal sigillo sacramentale, ma ha il dovere morale di informare il penitente circa l’obbligo grave di denunziare il colpevole.

L’obbligo della denunzia è personale, ma qualora vi fossero gravi difficoltà che la impediscano, essa può essere fatta anche per lettera o per mezzo di una persona di fiducia (n. 19). Nel filmato si sostiene l’esatto contrario: si dice che chi denunzia il reo viene colpito dalla scomunica.

Vale la pena accennare anche a quanto stabilito dai due numeri successivi.

Il n. 20 dispone che le denunzie anonime non siano tenute in conto; possono tuttavia dare sostegno o essere occasione di ulteriori investigazioni qualora sopravvengano fatti nuovi che le rendano probabili. Il n. 21 dice che l’obbligo di denunzia da parte della vittima (sancito al n. 16) non cessa per la spontanea confessione del reo, né per il suo trasferimento, promozione, condanna, presunta emendazione o per qualunque altra causa; cessa solo con la sua morte. Bella protezione per il pedofilo, non c’è che dire!

 

Il “titolo secondo” (“Il processo”, nn. 29-60) costituisce il nucleo centrale dell’istruzione. La vastità della materia non consente niente più che un breve cenno sui contenuti.

Un particolare che risalta sugli altri è la discrezione che viene imposta nel procedere alla raccolta delle prove, in particolare nel caso che dovesse risultare l’esistenza di altre possibili vittime dello stesso accusato per lo stesso crimine. Discrezione che non vuol dire superficialità, ma solo esigenza di tutelare il buon nome di tutte le parti in causa e, non ultimo, anche il “sigillo sacramentale”.

 

Il “titolo terzo” (“Le pene”, nn. 61-65) indica le sanzioni da applicare nel caso che l’imputato venga riconosciuto colpevole.

Quando risulti che un chierico abbia commesso il crimine di istigazione, dev’essere sospeso a divinis e nei casi più gravi ridotto allo stato laicale. Altre pene (medicinali, nel senso che devono mirare al recupero spirituale del reo e ad evitare il rischio di reiterazione del crimine) possono essere comminate in aggiunta, quali ad esempio il ritiro temporaneo in una casa di esercizi spirituali, l’obbligo o a seconda dei casi la proibizione di dimorare in un dato luogo, eccetera. Tutte queste pene, una volta applicate d’ufficio dal giudice, non possono essere rimesse se non dalla Santa Sede attraverso il Sant’Uffizio.

 

Il “titolo quarto” (“Le comunicazioni ufficiali”, nn. 66-70) dispone che se il reo ha residenza in un territorio diverso da quello dell’ordinario che ha ricevuto la denunzia, quest’ultimo trasmetta copia autentica della denunzia stessa all’ordinario del luogo di residenza dell’accusato; qualora il luogo di residenza sia sconosciuto, la copia venga trasmessa al Sant’Uffizio.

Viene anche fatto obbligo all’Ordinario che ha istruito il processo di informare dell’esito dello stesso sia il Sant’Uffizio che, nel caso di religiosi, il superiore del reo. Ma c’è di più: qualora il reo si trasferisca in un altro territorio (ricordiamo che la Chiesa non ha carceri dove rinchiudere i colpevoli), l’Ordinario a quo (cioè del luogo da cui si è trasferito) informi al più presto l’Ordinario ad quem (cioè del luogo in cui si è trasferito) dei precedenti e della posizione giuridica del reo.

Nel caso poi che il sacerdote sotto processo sia sospeso a divinis, se ne dia notizia al suo superiore affinché sia evitato che nel suo territorio egli possa ascoltare le confessioni oppure predicare. Tutte queste comunicazioni ufficiali devono essere fatte sempre sotto segreto del Sant’Uffizio. Notiamo che “sotto secreto” non significa tacendo: non si potrebbe dire una cosa senza dirla; significa che le cose vanno comunicate in via riservata.

 

Il “titolo quinto” (“Il crimine pessimo”, nn. 71-74) estende la normativa fin qui esaminata anche ad altri crimini:

-         al “crimine pessimo”, cioè al crimine commesso da un chierico con un individuo dello stesso sesso;

-         al crimine commesso in qualunque modo, o anche solo attentato, da un chierico con impuberi di qualunque sesso (= pedofilia) o con animali.

Si noti che in questo documento del 1962 si parla della pedofilia solo in questo punto (n. 73): un rigo e mezzo di testo.

 

La lettera apostolica in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela

 

In questo documento il Papa Giovanni Paolo II, di sua personale iniziativa (= motu proprio), decide di procedere al riordino della materia per la tutela della santità dei sacramenti. Il testo in latino della lettera è disponibile qui; una traduzione italiana può essere letta nell’Enchiridion Vaticanum delle Edizioni Dehoniane Bologna (EV 20,575-580).

Dopo aver elencato alcuni documenti dei suoi predecessori e le sue precedenti decisioni in materia, Giovanni Paolo II dice: «Era però necessario definire più dettagliatamente sia “i delitti più gravi commessi contro la morale e nella celebrazione dei sacramenti”, […] sia anche le norme processuali speciali “per dichiarare o infliggere le sanzioni canoniche”». Il documento promulga le «Norme circa i delitti più gravi riservati alla Congregazione per la dottrina della fede» disponendo che «tali norme assumono valore di legge nel giorno stesso in cui sono promulgate».

Giovanni Paolo II in questo documento non indica quali siano queste nuove norme, né conferma la normativa precedente: rinvia tutto alla competenza della Congregazione, approvando in anticipo quanto essa definirà.

 

La lettera “De delictis gravioribus” della Congregazione per la dottrina della fede

 

Fu inviata circa un mese dopo la Sacramentorum sanctitatis tutela, il 18 maggio 2001, «ai vescovi di tutta la Chiesa cattolica e agli altri ordinari e gerarchi interessati».  Il testo latino è disponibile qui; una traduzione italiana è disponibile qui, oltre che nel già citato Enchiridion Vaticanum (EV 20, 715-724).

Che cosa dice in realtà questo documento? In esecuzione di quanto stabilito nel motu proprio di Giovanni Paolo II:

-         riformula l’elenco dei “delitti più gravi”; rispetto alla Crimen sollicitationis le differenze sono consistenti: vengono inseriti i crimini contro la santità dell’eucaristia e confermati quelli contro il sacramento della penitenza; viene omesso il delitto previsto dal n. 71 dell’istruzione del 1962 (il peccato dei chierici contro il sesto comandamento con persone dello stesso sesso) e viene modificata la definizione del delitto «contro la morale, cioè il delitto contro il sesto comandamento del Decalogo commesso da un chierico con un minore al di sotto di 18 anni di età»; la Crimen sollicitationis parlava di «impuberi» (n. 73), mentre il Codice del 1983 poneva il limite per l’età della vittima a 16 anni (can. 1395, §2);

-         stabilisce che la prescrizione (il periodo oltre il quale il colpevole non è più perseguibile) per i delitti riservati alla Congregazione è di 10 anni, che decorrono a norma del diritto (can 1362, §2) dal giorno in cui fu commesso il delitto; «ma in un delitto con un minore commesso da un chierico comincia a decorrere dal giorno in cui il minore ha compiuto il 18° anno di età»; questo vuol dire che un chierico che commette un delitto di pedofilia può essere perseguito fino a quando la vittima non avrà compiuto 28 anni;

-         stabilisce infine che tutti i tribunali ecclesiastici devono attenersi ai canoni del Codice di Diritto Canonico del 1983 - libri VI (le sanzioni nella Chiesa)  e VII (i processi) - quindi non alla Crimen sollicitationis, e che tali cause sono soggette al segreto pontificio.

 

La questione del “segreto”

 

Il presunto “segreto” è il punto di forza dell’accusa rivolta alla Chiesa, segreto mediante il quale verrebbero coperti e protetti i chierici che si macchiano del delitto di pedofilia. In che modo, infatti, si potrebbero nascondere i crimini e con ciò proteggere i colpevoli? Imponendo il segreto, meglio ancora se con la minaccia di scomunica latae sententiae riservata al Sommo Pontefice.

A ben guardare, in base a quanto siamo venuti fin qui dicendo, appare abbastanza evidente che non di segreto si tratta (vale a dire silenzio su tutto, con tutti e per sempre) bensì di riservatezza. Basti come esempio quanto viene stabilito dal titolo IV della Crimen sollicitationis circa la notifica delle conclusioni processuali. Ma supponiamo pure che davvero venga imposto il segreto anziché la semplice e doverosa riservatezza. Resta da chiedersi: Dove e a chi verrebbe imposto? Ci sarebbero due possibilità:

-          prima che il crimine venga reso noto, imponendo il silenzio alla vittima e a quanti possano esserne venuti a conoscenza;

-          una volta che il processo canonico sia stato avviato, imponendo il silenzio su tutta la vicenda, sentenza compresa, e per sempre.

Vediamo se è davvero ciò che avviene.

La prima ipotesi (che cioè la vittima e chiunque sia venuto a conoscenza del crimine vengano minacciati di scomunica se denunciano il reo) è smentita – l’ho già fatto notare – dalla stessa Crimen sollicitationis, a meno che non si voglia negare quanto essa stabilisce ai numeri 15-19.

Per quanto riguarda la seconda ipotesi, si possono individuare due fasi: una riguardante l’istruttoria e il dibattimento; l’altra la fase successiva.

Il segreto (come ho già evidenziato, si tratta piuttosto di riservatezza degli atti) nella fase istruttoria e dibattimentale non dovrebbe sorprendere: in tutti gli ordinamenti c’è il “segreto istruttorio” e nei dibattimenti c’è la possibilità di procedere “a porte chiuse” nell’interesse della giustizia e delle parti in causa.

Che poi tutto venga messo sotto segreto una volta conclusa la vicenda processuale resta tutto da dimostrare, almeno nel caso che la sentenza sia di condanna. L’accusa è che con la minaccia della scomunica viene impedito il ricorso all’autorità giudiziaria. A questo proposito riporto quanto sostiene il canonista Mons. Andrea Drigani in un’intervista di Claudio Turrini.

 

Domanda: «Nel filmato della Bbc si fa un po’ di confusione tra foro civile e foro canonico».

Risposta: «La Chiesa dà pene spirituali, che possono essere anche gravi. Il foro civile potrà tener conto di questa pena, ma mi sembra che sia finito il tempo del “braccio secolare”! L’ordinamento giuridico dello Stato può procedere. Non c’è dubbio che si può far forte di una sentenza canonica di sospensione, però bisogna proceda lo stesso autonomamente».

 

Questo vuol dire che non è più il tempo in cui la Chiesa delegava al “braccio secolare” il processo, la condanna e l’esecuzione della sentenza per i colpevoli dei delitti contro la fede e la morale. Oggi i due ordinamenti sono – per grazia di Dio! – distinti ed autonomi in tutte le fasi della loro azione giudiziale.


Domanda: «Ma non c’è un obbligo di denuncia all’autorità giudiziaria?».

Risposta: «La Chiesa deve fare la sua istruttoria. Se l’istruttoria si conclude con una sentenza, la sentenza è pubblica».

 

Questo vuol dire che la Chiesa istruisce il suo processo secondo norme di segretezza dettate dall’esigenza di tutelare tutte le parti in causa. Una volta accertata la fondatezza delle accuse emette la sentenza, la quale è pubblica e può essere fatta valere presso l’autorità giudiziaria, la quale comunque farà le sue indagini e arriverà alle sue conclusioni autonomamente.

L’intera intervista è disponibile qui.

 

La questione della normatività della Crimen sollicitationis

 

C’è chi sostiene che la Crimen sollicitationis sia rimasta in vigore con forza di legge fino al 2001. Questa ipotesi si basa sul fatto che nella lettera De delictis gravioribus, citando quella istruzione, si dice: «finora in vigore».

Che cosa dice in realtà questa lettera e in quale contesto? Leggiamo: «… l’istruzione Crimen sollicitationis finora in vigore, […] doveva essere riveduta dopo la promulgazione dei nuovi codici canonici». Si noti che anche il motu proprio di Giovanni Paolo II cita questa istruzione, insieme ad altri documenti (tra cui anche il Codice di diritto canonico del 1917, certamente non più in vigore dal 1983), senza però dire alcunché circa la sua eventuale validità, sebbene ricordi che essa «aveva forza di legge» in quanto procedeva dalla personale autorità del Papa il quale, a norma del can. 247 §1 del Codice precedente, presiedeva il Sant’Uffizio; il Card. Ottaviani «fungeva solo da segretario». Se l’istruzione fosse stata ancora vincolante, il Papa avrebbe dovuto dire: «Ha forza di legge».

Ma quelle parole, “finora in vigore”, hanno fatto ritenere che l’istruzione fosse ancora vincolante in tutte le sue parti o che magari fosse stata “rivalutata” dal Cardinale Ratzinger; non si è tenuto conto, però, di quello che le segue: «doveva essere riveduta…».

Il nuovo Codice di Diritto Canonico stabilisce che: «La legge posteriore abroga la precedente o deroga alla medesima, se lo indica espressamente, o è direttamente contraria a quella, oppure riordina integralmente tutta quanta la materia della legge precedente…» (can. 20); inoltre le istruzioni (tale è infatti la Crimen sollicitationis) «cessano di avere vigore non soltanto con la revoca esplicita o implicita dell’autorità competente, che le pubblicò, o del suo superiore, ma anche cessando la legge per chiarire o per mandare ad esecuzione la quale furono date» (can 34, §3).

Ora, lo stesso Codice ha mandato in soffitta il vecchio (del 1917), al quale l’istruzione del 1962 faceva riferimento, e con esso ha di fatto abrogato quella istruzione che dettava le norme di riferimento per istruire i processi per il reato di istigazione e gli altri ad esso assimilati. Non è senza significato, infatti, che la lettera De delictis gravioribus riporti un nuovo elenco dei “delitti più gravi”.

La Crimen sollicitationis, dunque, sebbene non abrogata formalmente, ha perso la sua validità di legge nel 1983, essendo stata abrogata o quanto meno derogata di fatto a seguito della pubblicazione delle nuove norme sulla materia trattata, norme contenute nei libri VI e VII del nuovo Codice. Proprio per questa sorta di “vacatio legis” che si era venuta a creare (i “delitti più gravi” potevano venir trattati come gli altri), fu necessario emanare nuove direttive che, attribuendo alla Congregazione per la dottrina della fede la competenza in questa materia, evitassero pericoli di insabbiamento; proprio il contrario di quello che il filmato sostiene.

 

L’ATTENDIBILITÀ DEL FILMATO DELLA BBC

 

Passiamo ad un esame del filmato in sé. Per quanto riguarda le cose che dice sui documenti e sul comportamento di Joseph Ratzinger, ritengo di aver già sufficientemente dimostrato che sono solo un cumulo di… inesattezze.

Ma il filmato ha anche un suo particolare “modo di essere”, che può avere dei risvolti interessanti.

Era stato mandato in onda in Inghilterra dalla BBC, che lo aveva prodotto, il 1° ottobre 2006, scatenando un’ondata di proteste da parte delle alte gerarchie della Conferenza episcopale d’Inghilterra e Galles per le falsità che propalava per verità. Sembrò cadere nel dimenticatoio fino allo scorso mese di maggio, quando ha cominciato a circolare in rete (su Google Video e su YouTube) con i sottotitoli in italiano. Era questa, con ogni evidenza, un’operazione tutta a favore del pubblico italiano. Come mai – potremmo chiederci – solo dopo sette mesi si è avvertita l’esigenza di colmare questa “terribile lacuna culturale”? Qualcuno maliziosamente ha messo in relazione la comparsa del filmato con il Family Day (così ad esempio Massimo Introvigne, qui). Ma si tratta di un’ipotesi non dimostrabile, per cui possiamo tranquillamente accantonarla. Resta il fatto che il filmato è stato visto da una marea di frequentatori di Internet e subito si sono scatenati a valanga i commenti sui vari blog che avevano opportunamente pubblicizzato la novità. Ma evidentemente, abbagliati dalla prospettiva di aver trovato finalmente il “punto d’appoggio” per “sollevare il mondo”, certi ambienti si sono lanciati a capofitto nell’impresa senza verificare niente, fidandosi solo della credibilità della BBC. E così hanno finito col prendere lucciole per lanterne.

 

Mi sono imbattuto in questo filmato per caso, visitando un blog sul quale spesso faccio una capatina, attratto da molte interessanti notizie che vi si trovano, sempre date e dibattute con molta onestà intellettuale e correttezza formale. Ho visto il filmato la sera del 24 maggio (su Google Video) e ne ho subito ricavato l’impressione che qualcosa non funzionasse a dovere: dove poteva essere l’inghippo? Ma era tardi e lasciai perdere qualsiasi approfondimento.

Il mattino successivo, provai a rivederlo, ma inutilmente: era stato tolto dal sito; cliccando sul link appariva l’avviso che il documento non era più disponibile (se non vado errato, si diceva per problemi di copyright). Ma già ormai circolava insistente la notizia che Michele Santoro lo avrebbe mandato in onda nel corso della trasmissione Anno Zero del 31 maggio.

Quella sera, purtroppo, arrivai a casa in ritardo e misi in funzione il videoregistratore quando la trasmissione era già iniziata; ma il filmato riuscii a registrarlo per intero. Grande fu la mia sorpresa nel constatare che era stato modificato in alcune parti, compresa la traduzione, che non era la stessa del filmato che avevo già visto.

 

Le definizioni che ho trovato più spesso di questo filmato sono “documentario” e “servizio”, in qualche caso “reportage”... Ritengo, però, anche alla luce di quanto ho potuto accertare sulla base di non poche notizie diffuse su Internet, che queste definizioni  mal si adattano alla realtà del prodotto, pertanto continuerò a definirlo semplicemente “filmato”. Avendo già detto dei contenuti, mi resta da dire qualcosa sul prodotto in sé e sui testi.

Il filmato apparso su Internet iniziava con la prima parte (la seconda parte verrà presentata più avanti) di un presunto interrogatorio a Oliver O’ Grady, un ex prete condannato a 14 anni di carcere negli Stati Uniti per pedofilia. Sembrava di assistere ad una deposizione in tribunale (nella seconda parte si vede anche il momento in cui O’ Grady giura di dire tutta la verità…). Ma sappiamo che il processo fu celebrato negli Stati Uniti e che in quella nazione nei tribunali non sono permesse né riprese televisive né foto: dunque quelle scene erano state ricostruite! Si tratta infatti di un film prodotto nel 2006 per dar modo agli avvocati che difendevano le vittime di O’ Grady di spillare molti quattrini, in sede di contenzioso civile, alla diocesi alla quale apparteneva il colpevole, a titolo di risarcimento danni. Per questa performance i suddetti avvocati non si opposero ad una riduzione di pena; infatti O’ Grady uscì di prigione dopo sette anni e fu estradato in Irlanda, sua terra di origine. Su questa questione è molto istruttivo un altro articolo di Massimo Introvigne disponibile qui.

 

Il filmato (una descrizione puntuale si può leggere qui) presenta le storie di quattro vittime di preti pedofili e lancia una serie di accuse contro le autorità ecclesiastiche (americane, inglesi e irlandesi), ma in particolare insinua che dietro tutte le manovre di insabbiamento e di protezione dei colpevoli in realtà c’era Joseph Ratzinger. Nessuna possibilità di contraddittorio: viene sempre e pervicacemente presentata una sola tesi, quella dell’accusa.

A onor del vero, viene detto che gli autori del filmato hanno chiesto ripetutamente al Vaticano spiegazioni su alcuni fatti non meglio precisati, ma sostengono che le loro richieste sono state sistematicamente ignorate. Però, in assenza di risposte dalla controparte, avrebbero almeno potuto informarsi meglio; avrebbero evitato di essere sbugiardati.

 

Esaminiamo più da vicino alcune “curiosità”.

Nel filmato viene intervistato Padre Tom Doyle, che viene presentato come «un esperto di diritto canonico, un tempo stimato in Vaticano, ma oggi non più a causa del suo interessamento agli abusi del clero». Ma il 13 ottobre 2006 (12 giorni dopo la diffusione del filmato in Inghilterra) Padre Doyle rilasciò un’intervista al vaticanista americano John L. Allen nella quale affermava:

 

«Although I was a consultant to the producers of the documentary I am afraid that some of the distinctions I have made about the 1962 document have been lost. I do not believe now nor have I ever believed it to be proof of an explicit conspiracy, in the conventional sense, engineered by top Vatican officials, to cover up cases of clergy sexual abuse. I do not believe that the Vatican or any group of bishops needed a conspiracy».

 

«Sebbene io fossi un consulente dei produttori del documentario, temo che alcune delle distinzioni che ho fatto circa il documento del 1962 siano andate perdute. Io non credo e non ho mai creduto che fosse prova di un’esplicita cospirazione, nel senso convenzionale, orchestrata dai vertici della gerarchia vaticana per coprire casi di pedofilia tra i membri del clero, Io non credo che il Vaticano o un qualsiasi gruppo di vescovi avessero bisogno di una cospirazione».

 

Il testo completo (in inglese) dell’intervista si può leggere qui.

Nella nota che precede l’articolo, Padre Doyle viene descritto come un esperto molto conosciuto (widely noted expert) in problemi di abusi sessuali; si potrebbe dire, dunque, “un’edizione americana” di don Fortunato Di Noto; non si dice che è un esperto in diritto canonico, come affermato nella trascrizione del filmato, ma a questo punto il particolare diventa scarsamente rilevante.

 

Il filmato messo in onda dalla RAI, rispetto a quello che circolava su Internet, manca della parte introduttiva (la prima parte della presunta deposizione di Oliver O’ Grady) e presenta anche altri piccoli aggiustamenti, ai quali fa riferimento en passant Michele Santoro nel corso della trasmissione. Il filmato è stato “depurato” di alcune affermazioni ritenute poco o nulla attendibili o dimostrabili.

In definitiva nella trasmissione di Anno Zero resta ben poco da opporre ai due difensori della Chiesa, Mons. Fisichella e don Fortunato Di Noto. Le sole accuse ancora in piedi, infatti, sono quelle sulle quali insiste Colm O’ Gorman, autore del filmato: il segreto e l’indifferenza della Chiesa verso le vittime dei preti pedofili.

L’obiezione sul segreto viene smontata subito da Mons. Fisichella. Ma O’ Gorman insiste nell’affermare che la Chiesa non fa niente per le vittime della pedofilia; il prelato gli elenca allora alcune iniziative in favore proprio delle vittime, e il sempre più agitato irlandese è costretto a cambiare tono, affermando che la Chiesa non fa abbastanza. Però dire che “non fa niente” è un conto: si tratta di un’accusa grave di immobilismo; dire che “non fa abbastanza” è una valutazione personale sulla quale si può anche dissentire, tenendo conto che forse ciò che viene fatto potrebbe essere abbastanza, tenuto conto delle circostanze in cui ci si trova ad operare. E don Fortunato Di Noto, con la sua stessa presenza, è un ben valido sostegno a questa affermazione.

 

Avrei potuto considerare sufficiente quello che è apparso su Internet nei giorni successivi alla trasmissione di Santoro, ma c’era qualcosa che ancora non mi quadrava: la sensazione provata di fronte al primo filmato (quello di Google Video con i sottotitoli). Così mi sono preso la briga di fare un lavoro particolare: ho scaricato da Internet la trascrizione del testo originale (inglese), disponibile qui, ed anche la traduzione italiana, disponibile qui; ho messo i due testi a confronto, realizzando una sorta di “sinossi”; non è stato difficile far coincidere nelle due colonne le battute originali con la traduzione italiana. Il lavoro ha prodotto alcune sorprese interessanti…

 

Partiamo proprio dall’ultima battuta della parte iniziale omessa da Anno Zero. Il testo inglese recita:

 

KENYON: Instead of reporting O'Grady the church hid him from the authorities. No mistake, but part of a secret church directive. The man responsible for enforcing it was Cardinal Joseph Ratzinger, now Pope Benedict XVI..

 

Nella traduzione leggiamo:

 

Speaker: Invece di denunciare O’ Grady la Chiesa lo protesse, nascondendolo alle autorità. Quando si venne a sapere quello che succedeva a Ferns, le autorità ecclesiastiche locali, in ossequio alle direttive segrete della Chiesa Cattolica, misero tutto a tacere. Responsabile di quella imposizione fu il Cardinale Joseph Ratzinger, ora Papa Benedetto XVI.

 

Le due frasi che ho sottolineato dovrebbero dire la stessa cosa, ma già solo la diversa lunghezza dei testi dice che non è così. Il testo inglese, infatti, dice: «Nessun errore ma parte di una direttiva segreta della Chiesa. L’uomo responsabile di imporla era il Cardinale Joseph Ratzinger». Si confronti cosa è diventata questa frase in mano ai traduttori…

 

Ma andiamo avanti nella comparazione. All’inizio dell’intervista a Padre Doyle (nel filmato) questi, nel testo italiano conclude il suo primo intervento con questa frase: «L'obiettivo è proteggere la reputazione dei preti, finché la Chiesa non compia indagini. In pratica copre i preti pedofili».

Nel testo inglese, invece, la stessa frase risulta essere detta dal cronista (Kenyon): «The procedure was intended to protect a priests reputation until the church had investigated. But in practice it can offer a blueprint for cover-ups».

Una svista simile si trova ancora verso la fine (poco prima della ripresa delle immagini del “processo” O’ Grady). La traduzione italiana attribuisce a Padre Doyle queste parole: «Il Vaticano, la bussola morale della chiesa Cattolica, forse ha le prove di altri preti pedofili in giro per il mondo, ma, invece che alla cooperazione e alla trasparenza, le direttive della Chiesa mirano all'ostruzionismo e alla copertura. C'è un uomo però che ha il potere di cambiare tutto».

Nel testo inglese queste parole le dice ancora il cronista: «KENYON: The Vatican, the moral compass of the Catholic church, may well be holding evidence of other child abusing priests from around the world. But instead of cooperation and transparency, many feel the church's directives create obstruction and cover up in practice. There's one man who has the power to change that».

Entrambe le versioni concordano nell’attribuire a Padre Doyle il seguito del discorso: «Il cardinale Ratzinger, che adesso è il Papa, potrebbe dire "questa è la politica della Chiesa: Cooperazione piena ovunque con le autorità civili e isolamento e dimissioni dei preti dichiarati colpevoli. Completa apertura e trasparenza, anche nelle situazioni finanziarie. Eliminazione degli ostacoli ai processi. Cooperazione con le autorità civili, ovunque". Potrebbe farlo».

C’è qualche differenza nel mettere quelle parole in bocca a uno che è stato presentato come esperto di diritto canonico, anche se “caduto in disgrazia”, anziché in bocca a un cronista…

 

E per concludere, la ciliegina sulla torta: le ultime battute del filmato. Siamo nel “tribunale” con O’ Grady alla sbarra (così vorrebbero farci credere). Sentite cosa dice il presunto Pubblico Ministero (nel testo italiano le frasi di questo personaggio sono infatti contrassegnate da “PM”):

 

Q: What else happened to you as a consequence of abusing?

O'GRADY: Actually nothing happened. Life continued.

 

Una mia traduzione:

 

Domanda: Cos’altro le è successo come conseguenza degli abusi?

O’ Grady: Veramente non è successo niente. La vita continua.

 

La traduzione del filmato disponibile su Internet:

 

PM:  - Che altro è successo dopo tutto quello che è accaduto?

O'GRADY - Niente. La vita è andata avanti.

 

Non suona strana quella domanda in bocca a un “Pubblico Ministero”? È la dimostrazione – se ancora ce ne fosse bisogno – che si tratta di un’intervista mascherata da deposizione nel corso di un processo. Che poi non sia successo niente, «dopo tutto quello che è accaduto», è solo l’ultimo tentativo di distorcere la verità: O’ Grady fu ridotto allo stato laicale e, dopo essersi visto dimezzare il soggiorno in carcere grazie alle sue performances cinematografiche e con la complicità degli avvocati delle vittime, fu estradato in Irlanda, sua terra d’origine. Questo per lui significa «niente» e che «la vita continua»? Contento lui…